UN CONSIGLIO PER IL NUOVO ANNO
Il caso di Julija Tymoshenko come esempio della reale situazione dell’Unione Europea: minacciata non solo dalla crisi dell’Euro, ma dalla decadenza dei valori di libertà, giustizia, e democrazia, di cui ad approfittarne, a sole spese dell’UE, è la Russia di Putin
Una treccia bionda dietro a sbarre fredde di un penitenziario buio e periferico. Non è serena l’immagine con cui si chiude l’anno appena trascorso, e si apre un 2012 che, per l’Ucraina, significa sopratutto campionato europeo di calcio. La rassegna UEFA aggiungerà nel vocabolario dell’italiano medio nomi di città come Leopoli, Kharkiv, e Donec’k – sperando che Kyiv, la capitale, abbia già trovato un suo spazio tra i nomi dei protagonisti del Grande Fratello – e l’Ucraina inizierà ad essere nota come un Paese esistente sulla carta geografica del Vecchio Continente. Miracoli del pallone, e del pressappochismo dello stivale.
Peccato che quasi nulla trasparirà sulla reale condizione di questo Paese, che la possibilità di entrare davvero a far parte dell’Europa l’ha avuta, e sprecata, più volte. L’ultima, lo scorso Dicembre, quando l’Amministrazione del Presidente, Viktor Janukovych, si è presentata impreparata alla firma di un’Accordo di Associazione UE-Ucraina che avrebbe conferito a Kyiv il medesimo status di partner privilegiato di Bruxelles, oggi goduto da Norvegia, Islanda, e Svizzera.
L’Unione Europea non ha potuto finalizzare i negoziati a causa del regresso democratico in atto sulle Rive del Dnipro – per l’italiano medio, il fiume di Kyiv – con cui, in circa due anni di potere, Janukovych ha arrestato, processato, ed indagato una ventina tra esponenti dell’Opposizione Democratica, attivisti civili, e giornalisti indipendenti.
Vittima esemplare è la Leader del campo arancione, Julija Tymoshenko: ex-Primo Ministro, condannata a sette anni di isolamento per abuso d’ufficio nel corso delle trattative per il gas del Gennaio 2009 con l’allora suo collega russo, Vladimir Putin. A tale pena – maturata dopo un processo farsa, con la difesa privata dei propri diritti e prove costruite ad hoc per incastrare la Leader dell’Opposizione Democratica, addirittura datate il 31 Aprile – è stato aggiunto un secondo arresto preventivo: quasi paralizzata a letto da un forte mal di schiena – non curato dalle Autorità giudiziarie – la Tymoshenko è stata ritenuta elemento potenzialmente pericoloso per la prosecuzione del processo in cui è imputata per evasione fiscale durante presidenza della JEESU – colosso energetico guidato prima della discesa in campo del 1998.
In aggiunta, nella giornata di venerdì, 30 Dicembre, l’ex-Primo Ministro è stata deportata nel penitenziario femminile Kachanivs’kyj di Kharkiv: allontanata dai parenti giusto in occasione del Capodanno – che in Ucraina ha la medesima valenza del Natale cattolico, con bambini che si scambiano i doni e famiglie che si riuniscono. Il tutto è avvenuto nel buio della notte, malgrado la Tymoshenko sia impossibilitata persino a passeggiare per la propria cella: figuriamoci a percorrere centinaia di chilometri su una camionetta della polizia.
Nella medesima giornata, Janukovych ha emanato un decreto urgente con cui ha abolito il Giorno della Libertà, ovvero i festeggiamenti in ricordo della Rivoluzione Arancione: manifestazione pacifica con cui il popolo ucraino, guidato dalla Tymoshenko, ha reagito ai brogli elettorali perpetrati da Janukovych – e dal suo padrino, il Capo di Stato emerito, Leonid Kuchma – e preteso dalle proprie Autorità Europa, democrazia, e giustizia.
Guardare al Mondo, e non solo a Palazzo Chigi
Il caso ucraino deve fare riflettere tutti noi che, comodamente, passiamo il Capodanno al caldo e in compagnia: la libertà sulle Rive del Dnipro collima con la libertà nell’Unione Europea – e, quindi, dell’Italia. Nessuno scommette sulla totale innocenza della Tymoshenko – sopratutto in un Paese dall’altissima corruzione in diversi ambiti, politica in primo luogo – ma il trattamento riservato alla Lady di Ferro ucraina è disumano, illiberale, e, se si vuole, anche un po’ sessista.
Sarebbe bello se in Italia si cominciasse ad aprire gli occhi su quanto accade a Kyiv, e, magari, alcuni cari colleghi giornalisti, attivisti dei diritti umani del Belpaese, e le organizzazioni femministe iniziassero a condannare quanto perpetrato dal regime di Janukovych, anche se – diversamente dalle marachelle del dittatore bielorusso, Aljaksandar Lukashenka – questa causa non può essere usata per contestare Berlusconi, o dare addosso a certa parte politica.
In ballo è la democrazia di tutto il Vecchio Continente. Ad est di Kyiv, Putin è pronto a ripristinare una Russia imperiale che, dopo avere fagocitato l’Ucraina – gioco facile: sopratutto ora che Janukovych è sempre più isolato da Bruxelles – punta dritto all’Europa, con l’obiettivo di eliminarla dalla competizione planetaria. In un Mondo sempre più globalizzato, l’orso russo vuole giocare alla pari delle tigri asiatiche e dei puma brasiliani, senza banchieri europei e cowboy americani di mezzo.
Per questa ragione, e non ce ne vergogniamo, la Voce Arancione ha sostenuto la firma dell’Accordo di Associazione senza se e senza ma: integrare l’Ucraina è una priorità in primis per la sopravvivenza dell’Europa, anche se bisogna trattare con un tiranno post-sovietico. Una volta integrata con Bruxelles, Kyiv avrebbe giovato di una maggiore protezione dall’aggressione energetica di Mosca, e sarebbe stata costretta ad attenersi agli standard democratici dell’Unione, liberando la Tymoshenko e riconoscendo diritti alle opposizioni.
Delineato tale quadro, Auguriamo a tutti i lettori un Felice Anno Nuovo, con la speranza che chi seguirà l’Europeo di calcio sarà cosciente di quanto realmente succede in Ucraina. Ventidue atleti che corrono dietro a un pallone non bastano a fare l’Europa. Bensì, piaccia o meno, la libertà e la prosperità del Vecchio Continente sono legate alla bionda treccia della Tymoshenko: ieri, simbolo della svolta arancione, oggi della repressione post-sovietica, favorita anche dal silenzio imposto dai media politicamente corretti di casa nostra.
La Redazione
LA TURCHIA TOGLIE IL VETO: AL VIA IL SOUTHSTREAM
L’assenso di Ankara decisivo per l’avvio della costruzione del Gasdotto Ortodosso che, rifornendo direttamente l’Europa Occidentale di gas russo, divide l’UE e rende il Vecchio Continente sempre più dipendente da Mosca. Chiave di svolta, lo sconto sulla bolletta del gas venduto ai turchi
Un sorriso grande un gasdotto affossa l’interesse generale europeo. Questa volta, autore della smorfia non è il tandem Parigi-Berlino divertito dai problemi del Belpaese, ma quello Mosca-San Donato Milanese: un asse da tempo collaudato, che, con la politica del gas e dei gasdotti, sta picconando ogni tentativo di autonomia energetica europea.
Nella giornata di mercoledì, 28 Dicembre, la Russia ha ottenuto il via libera dalla Turchia per la costruzione del Southstream: gasdotto progettato sul fondale del Mar Nero per rifornire direttamente l’Europa Occidentale di gas russo, bypassando Paesi – anche UE – politicamente invisi al Cremlino come Polonia, Stati Baltici, Romania, Ucraina, e Moldova.
Un assenso fondamentale quello di Ankara, dal momento in cui il transito per le acque territoriali anatoliche è imprescindibile per la realizzazione dell’infrastruttura sottomarina. Da questo si evince il perché del sorriso del Primo Ministro russo, Vladimir Putin: soddisfatto dopo avere ricevuto l’imprimatur dal suo collega turco, Tajip Erdogan, per mezzo di una lettera consegnatagli a Mosca direttamente dal Ministro dell’Energia di Ankara, Taner Yildiz.
Chapeau alla Russia, abile nel muovere le pedine al punto tale da costringere uno dei due oppositori al Southstream alla resa. Dopo avere minacciato l’Ucraina con la costruzione del gasdotto sottomarino – qualora Kyiv non avesse ceduto il proprio sistema infrastrutturale energetico al monopolista russo, Gazprom – Mosca si è rifatta su Ankara, e, come rilevato da molti esperti, è riuscita ad abbattere il veto turco – posto in seguito alla Guerra in Libia – con un sostanziale sconto sul prezzo del gas. Il giorno precedente, nella tarda serata, Yildiz ed il Capo di Gazprom, Aleksej Miller, hanno raggiunto un accordo per il rinnovo delle forniture energetiche alla Turchia.
“Ringrazio la parte turca per il fondamentale permesso alla costruzione sui propri fondali – ha dichiarato Putin – vedrete come il progetto del Southstream cambierà la vita dell’Europa”.
Una dichiarazione che sa di minaccia. Con la portata di 63 Miliardi di metri cubi annui, il Gasdotto ortodosso – come è stato ribattezzato il Southstream – de facto divide l’Europa: garantisce forniture dirette ai Paesi dell’Occidente dell’UE, e costringe gli Stati della parte centrale del Vecchio Continente ad importare oro blu russo da ovest. Un assurdo della geografia dimostrato dal percorso della conduttura, che, dopo un tratto sul fondale del Mar Nero, tra Russia e Bulgaria, si dividerà in due tronchi: a Sud, verso Grecia ed Italia meridionale, a Nord, invece, lungo i Balcani fino ad Austria e Pianura Padana.
Contro l’indipendenza energetica di Bruxelles
Ma non è tutto, poiché la realizzazione del Gasdotto Ortodosso – prevista per il 2015 – rende vana la costruzione del Nabucco: infrastruttura parallela progettata per importare gas centro asiatico in Europa evitando il territorio russo – e la conseguente dipendenza dai diktat energetici di Mosca. Il progetto di verdiana denominazione, indispensabile per l’indipendenza energetica UE, è sostenuto da Unione Europea, consorzio AGRI – Azerbajdzhan, Georgia, Romania, Ungheria – e, paradossalmente, Turchia.
Malgrado i cospicui sforzi profusi sopratutto dalla Commissione Barroso a sostegno del Nabucco, la corazzata di interessi energetici e politici che sta dietro al Southstream si è rilevata più forte persino di Bruxelles. Il Gasdotto Ortodosso è compartecipato per il 50% da Gazprom, per il 20% dal colosso italiano ENI, e per il restante 30% a metà tra le compagnie francese EDF e tedesca Wintershall.
Matteo Cazzulani
GUERRA DEL GAS: SPUNTA UN NUOVO GASDOTTO PER LA SICUREZZA ENERGETICA EUROPEA
Il Gasdotto Europeo del Sud-Est – SEEP – punta al trasporto dell’oro blu centro asiatico in Europa in alternativa al Nabucco, sfruttando le condutture già esistenti. Sostenuto dalle compagnie energetiche azera e turca, con la compartecipazione di Shell e British Petroleum, potrebbe diventare l’infrastruttura principale del Corridoio Meridionale: progetto dell’Unione Europea per diminuire la dipendenza dalla Russia
Utilizzare quello che si ha è meglio che costruire ex-novo: è tutto più economico, ecologico, e facile da realizzare, resta solo la volontà politica. Questa la scommessa lanciata dalle compagnie energetiche azera e turca, SOCAR e BOTAS, che, coadiuvate dall’olandese Shell e dall’inglese British Petroleum, hanno progettato un nuovo gasdotto per rifornire l’Europa di gas centro asiatico.
Il Gasdotto Europeo del Sud-Est – SEEP – è un progetto che mira al trasporto dell’oro blu dal giacimento azero Shakh Deniz all’Austria, sfruttando il più possibile le infrastrutture già esistenti. Una vera e propria alternativa che, se realizzata, neutralizzerebbe il Nabucco: gasdotto concepito sul fondale del Mediterraneo per rifornire di gas centro asiatico l’Europa evitando il transito in Russia – ed il ricatto politico di Mosca – su cui la Commissione Europea ha puntato tutto per diversificare le forniture di oro blu di un Vecchio Continente oggi dipendente quasi in toto dal gas del Cremlino.
Come sottolineato dal consorzio SEEP, il nuovo progetto sarebbe più conveniente del gasdotto di verdiana denominazione, dal momento in cui il tratto balcanico-europeo – ancora da realizzare – includerebbe anche la Croazia: nuovo membro dell’Unione Europea in cui il Nabucco non prevede di passare. L’unico interrogativo resta la portata: basandosi sui gasdotti già realizzati, il SEEP non supererebbe i 10 miliardi di metri cubi annui, contro i 31 preventivati per il Nabucco.
Al via il Gasdotto Transanatolico
Ciò nonostante, i lavori per la realizzazione del nuovo progetto sono già iniziati. Nella giornata di martedì, 27 Dicembre, Azerbajdzhan e Turchia si sono accordati definitivamente per la costruzione del Gasdotto Transanatolico: trasporterà gas dal Shakh-Deniz ai Balcani lungo la penisola turca. Come dichiarato a corredo della firma del contratto, l’infrastruttura punta a diventare uno dei gasdotti-cardine del Corridoio Meridionale: progetto di unificazione dei gasdotti del Mediterraneo, di cui, oltre al Nabucco – SEEP permettendo – faranno parte anche l’Interconnettore Turchia-Grecia-Italia – ITGI – ed il Gasdotto Transadriatico – TAP.
Lecito ricordare che tale politica dei gasdotti è resa necessaria non solo dall’egemonia energetica della Russia, ma anche da un progetto, simile al Nabucco, concepito dal monopolista russo, Gazprom, per rifornire direttamente l’Europa Occidentale di proprio oro blu, bypassando Paesi – anche appartenenti all’Unione Europea – politicamente invisi al Cremlino, come Romania, Polonia, Stati Baltici, Ucraina, e Moldova.
Battezzata Southstream, la conduttura russa, nonostante contrasti l’interesse generale europeo, è compartecipata dal colosso italiano ENI, dalle compagnie tedesche Wintershall ed E.On, dalla francese EDF, dalla greca DEPA, e da quelle nazionali di Macedonia e Serbia.
Matteo Cazzulani
“LETTERA AL DITTATORE”: JULIJA TYMOSHENKO SCRIVE A VIKTOR JANUKOVYCH
La Leader dell’Opposizione Democratica invita il Presidente ucraino ad arrestare le velleità autoritarie, non rinunciare all’integrazione europea, e salvaguardare i gasdotti del Paese, senza cedere alle pretese della Russia. Conferma ai timori dell’ex-Primo Ministro, detenuta in isolamento dopo un processo farsa, da parte del Capo del monopolista russo, Gazprom
Una sottile ironia mista ad un triste realismo. Questo lo stile utilizzato da Julija Tymoshenko per rivolgersi al Presidente, Viktor Janukovych, nella “Lettera al Dittatore”: documento, dettato direttamente dalla cella in cui la Lady di Ferro ucraina è costretta alla detenzione in seguito ad una condanna politica, con cui la Leader dell’Opposizione Democratica ha invitato il Capo di Stato ad abbandonare ogni tentazione autoritaria, prestando maggiore attenzione alla condizione del Paese in un momento particolarmente delicato.
“Nessun politico parla mai chiaramente, ma non Lei menta così spudoratamente quando cerca di convincere la comunità internazionale di non avere nulla a che fare con la magistratura – ha scritto l’ex-Primo Ministro, convinta che la responsabilità della sentenza a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio, maturata in seguito ad un processo di primo grado ed un Appello in cui la difesa è stata privata di ogni diritto, ricada tutta sul Presidente: intenzionato ad eliminare i principali oppositori – ho studiato l’anatomia dei regimi autoritari, e so che la figura del dittatore, malgrado l’apparenza, è debole e vittima del terrore: l’unico sentimento da cui non si stacca mai”.
Particolare attenzione è stata posta alla situazione internazionale, con un’Ucraina sempre più isolata a livello internazionale. Nella lettera, pubblicata dalle principali agenzie di stampa, Julija Tymoshenko ha ribadito come per Kyiv la priorità debba essere l’Integrazione Europea e, con essa, il varo di ogni forma di collaborazione con Bruxelles ed il Mondo occidentale. Tutto il contrario di quanto fatto da Janukovych, che, lo scorso 19 Dicembre, non è riuscito ad ottenere la firma dell’Accordo di Associazione UE-Ucraina.
Questo storico documento, con cui l’Unione Europea avrebbe riconosciuto alla parte ucraina il medesimo status di partner privilegiato oggi goduto da Islanda, Norvegia, e Svizzera, è stato congelato dalle autorità europee proprio in seguito all’ondata di repressione politica che, oltre alla Tymoshenko, ha portato in carcere e tribunale una decina di esponenti del campo arancione, tra cui l’ex-Ministro degli Interni, Jurij Lucenko.
“Non so quanto capisca di politica internazionale, ma l’Euro 2012 non è l’Accordo di Associazione UE-Ucraina, bensì un campionato di calcio [la rassegna sportiva europea, che, nel Giugno 2012, sarà ospitata da Polonia ed Ucraina: peraltro, ottenuto nel 2009 proprio dall’ultimo governo Tymoshenko, n.d.a.] Con la mancata firma del documento, Lei ha riportato indietro il Paese di un decennio, badando solo ai suoi interessi personali, e non a quelli della nazione. Ogni allontanamento dall’Europa – ha continuato – aumenta la Sua debolezza e, con essa, quella dell’Ucraina a livello internazionale. Un partner debole è comodo per tutti – ha terminato – sopratutto alla Russia, con cui Lei crede di potere giocare alla pari”.
Il riferimento della Leader dell’Opposizione Democratica è, ovviamente, alla questione energetica. L’Amministrazione Janukovych ha richiesto la revisione al ribasso del contratto per l’importazione di gas dalla Russia, che, ad oggi, impone all’Ucraina il medesimo tariffario applicato ai Paesi dell’Unione Europea – eccetto Germania, Francia, Italia, e Grecia: Stati, notoriamente filo russi, a cui il monopolista di Mosca, Gazprom, ha concesso sconti per mantenere a sé legate Parigi, Berlino, Roma ed Atene.
Nel Maggio 2010, il Presidente ucraino ha concesso il prolungamento della permanenza dell’esercito russo in Crimea fino al 2042 in cambio di uno sconto promesso, ma mai applicato. Nonostante tale episodio, nel mese di Novembre le trattative sono state riaperte, ma allo stato attuale, come ammesso dallo stesso governo ucraino, sono arenate ad un punto morto.
“Lei ha ceduto Sebastopoli [città della Crimea, sede della Flotta Russa del Mar Nero, n.d.a.] in cambio di gas a buon mercato. Ora vuole persino consegnare i nostri gasdotti ai russi per la medesima promessa – ha scritto la Tymoshenko – non svenda il patrimonio infrastrutturale energetico dell’Ucraina: è l’unica risorsa che è rimasta al Paese. Se la invitano in Russia in incontri anche privati [come quello nella tenuta presidenziale di Gorky dello scorso 20 Dicembre, in cui Janukovych ha discusso con il suo collega russo, Dmitrij Medvedev, proprio di questione energetica, n.d.a.] è solo perché al Cremlino interessano le nostre condutture”.
Le pretese di Gazprom danno ragione alla Leader dell’Opposizione Democratica
A sostegno dell’appello della Leader dell’Opposizione Democratica – che ha firmato “Julija Tymoshenko, Camera numero 260, dove Lei stesso mi ha rinchiusa, del Carcere di Massima Sicurezza Luk’janivs’kyj” – le dichiarazioni del Capo di Gazprom, Aleksej Miller: secondo cui proprio i gasdotti ucraini potrebbero giocare un ruolo importante per sbloccare le trattative, e concedere all’Ucraina il tanto aspirato sconto sull’oro blu.
Come evidenziato all’agenzia Interfax-Ukrajina, dalle trattative tra Mosca e Kyiv dipende la costruzione del Southstream: gasdotto sottomarino, progettato da Gazprom – in collaborazione con il colosso italiano ENI, le compagnie tedesche E.On e Wintershall, quella francese EDF, la greca DEPA, e quelle nazionali di Macedonia e Serbia – sul Fondale del Mar Nero per rifornire di gas direttamente gli acquirenti dell’Occidente del Vecchio Continente, bypassando Paesi politicamente invisi al Cremlino come Polonia, Romania, Stati Baltici – tutti e cinque membri UE – Moldova e, appunto, Ucraina.
Difatti, Mosca a più riprese ha illustrato come l’unica possibilità per evitare tale infrastruttura sia la cessione a Gazprom della gestione diretta delle infrastrutture energetiche ucraine. Secondo l’Opposizione Democratica e diversi osservatori internazionali, tale soluzione porterebbe alla piena sottomissione di Kyiv a Mosca, sopratutto in un’area del Mondo dove il controllo di gas e gasdotti è sinonimo di piena egemonia politica.
Matteo Cazzulani
REGRESSO DEMOCRATICO IN UCRAINA: JURIJ LUCENKO DA UN ANNO IN ISOLAMENTO
L’ex-Ministro degli Interni, uno degli esponenti più carismatici dell’Opposizione Democratica ucraina, costretto alla detenzione in isolamento, all’alimentazione forzata, e ad assistere dietro alle sbarre ad uno dei processi politici organizzati dalle autorità per eliminare i Leader dell’Opposizione Democratica, tra cui l’ex-Primo Ministro, Julija Tymoshenko. Un video del collega Kostjantyn Usov di TVI ne racconta il caso
Per 365 giorni detenuto in isolamento a causa di 3 imputazioni prive di fondamento, con soli due testimoni a favore delle accuse, ma alcun verdetto che ne abbia certificato la colpa. Questo è il Santo Stefano che, oggi, trascorre Jurij Lucenko: esponente di spicco dell’Opposizione Democratica che, parimenti alla sua carismatica Leader, Julija Tymoshenko, è caduto vittima della repressione politica attuata dalla salita al potere del Presidente, Viktor Janukovych.
Il 26 Dicembre 2010, Lucenko è incarcerato in una cella di isolamento, prelevato dalle forze di polizia sotto casa sua, al rientro dalla passeggiata con il cane: sotto lo sguardo impotente di madre e figli. Mesi prima, giusto in seguito all’insediamento di Janukovych, a carico dell’ex-Ministro degli Interni sono sollevate tre imputazioni: incremento della paga e concessione di abitazioni governative illecita al suo autista, Leonid Prystupljuk, sperpero di danaro del bilancio statale per l’organizzazione della Giornata della Polizia del 2008, chiusura anticipata delle indagini sul cittadino Davydenko, l’ autista dell’ex-Vice-Procuratore Savchjuk – proprietario della casa in cui, durante la Rivoluzione Arancione, sarebbe stato avvelenato il futuro Capo di Stato, Viktor Jushchenko.
A sostegno di tali imputazioni, per cui è aperto un processo con la richiesta di 12 anni di reclusione per abuso d’ufficio, sono sopratutto l’allora Ministro degli Interni, Anatolij Mohyl’ov, il nuovo Procuratore Generale nominato da Janukovych, Viktor Pshonka, il suo vice, Rinat Kuz’min, e solo due dei più di 200 testimoni chiamati a testimoniare durante un lungo procedimento, condotto da un PM, Serhij Vovk, a sua volta indagato per truffa edile, ma finora graziato dalle autorità.
Costretto ad assistere alle sedute del proprio processo dietro a delle sbarre – barbara procedura che, illegalmente, dipinge l’imputato come già colpevole nella psicologia dei presenti e della Corte – Lucenko più volte denuncia il conflitto di interessi del giudice, e, per protesta, ricorre persino allo sciopero della fame. Nulla da fare, dal momento in cui le Autorità giudiziarie impongono la nutrizione forzata al ribelle galeotto: altra pratica autoritaria, vietata dall’Unione Europea, ma ancora ammessa dal Codice Penale ucraino.
Un carismatico arancione
Il processo all’ex-Ministro degli Interni continua lentamente, lasciando una condanna già annunciata sempre più lontana: così da mantenere al di fuori della vita politica una delle più importanti personalità dell’Opposizione Democratica. Aiutante del Segretario del Partito Socialista ucraino, Oleksandr Moroz, Lucenko nel 2002 è alla testa del movimento Ucraina senza Kuchma, in opposizione all’ex-Presidente Leonid Kuchma: di cui Janukovych è il delfino politico. Nel 2004, è uno dei più attivi colonnelli della pacifica Rivoluzione Arancione: ruolo per cui viene premiato da Jushchenko con la nomina a Ministro degli Interni nel primo governo di Julija Tymoshenko.
Deciso nel realizzare la promessa di giustizia, Lucenko adotta la mano dura contro gli oligarchi dell’Est del Paese, sponsor di Viktor Janukovych: un gesto di coerenza politica che gli costa caro fin a subito. Entrato in crisi con la Tymoshenko – dimissionata nel 2005 – Lucenko mantiene la carica sotto il secondo governo arancione di Jurij Jekhanurov, fino al 2006, quando la vittoria alle elezioni parlamentari di Janukovych – che realizza una coalizione di governo con comunisti e socialisti – ne provoca l’espulsione e, contemporaneamente, l’uscita dal Partito Socialista Ucraino per evidenti divergenze politiche con Moroz.
Nel 2007, fonda il Partito Avanti Ucraina – poi ribattezzato Narodna Samooborona – si riavvicina a Julija Tymoshenko, e, nelle elezioni anticipate del 2007, guida la lista filo-presidenziale Nasha Ukrajina, che gli consente il ritorno al Dicastero degli Interni nel secondo governo della Lady di Ferro ucraina. Ripristinata la lotta contro gli oligarchi, la sua immagine viene lesa dall’arresto del figlio in stato di ubriachezza all’aeroporto di Francoforte. Ciò nonostante, la Tymoshenko fa quadrato attorno a lui, difendendolo persino nei difficili giorni del suo terzo governo: esecutivo di minoranza, in cui la conta dei voti è necessaria per l’approvazione di ogni mozione.
Il saldo legame con la Leader degli arancioni porta Lucenko a condividere anche le conseguenze della risalita al potere di Janukovych, nel Febbraio 2010: parimenti alla Lady di Ferro ucraina – condannata a sette anni di isolamento per abuso d’ufficio nel corso delle trattative per il gas del Gennaio 2009 con l’allora suo collega russo, Vladimir Putin: il tutto dopo un processo farsa costruito su imputazioni montate ad hoc, e senza diritti per la difesa – l’ex-Ministro degli Interni diventa l’oggetto ed il simbolo di un regresso democratico sulle Rive del Dnipro.
Dinnanzi agli arresti di Lucenko e della Tymoshenko, alle ripetute risoluzioni di condanna da parte di USA, ONU, NATO, e Parlamento Europeo, è seguito, lo scorso 19 Dicembre, il congelamento della firma dell’Accordo di Asociazione UE-Ucraina: documento storico, con cui Kyiv avrebbe ottenuto il medesimo status di partner privilegiato di Bruxelles, oggi goduto da Islanda, Norvegia, e Svizzera.
Matteo Cazzulani
IN RUSSIA L’ENNESIMA MANIFESTAZIONE ANTIPUTINIANA. MA LA REPRESSIONE CONTINUA
Circa 30 Mila dimostranti a Mosca protestano contro i brogli elettorali che hanno garantito al Partito del Potere la maggioranza quasi assoluta in Parlamento, ed invitano a votare contro Putin alle prossime Elezioni Presidenziali. Repressioni ed arresti a San Pietroburgo ed in provincia. Fermi anche in Ucraina
Se Putin non fosse ortodosso avrebbe buoni motivi per digerire a fatica il panettone. Nella giornata di sabato, 24 Dicembre, a Mosca ha avuto luogo la seconda imponente manifestazione delle opposizioni alla Verticale del Potere: capaci di riempire il Prospekt Sakharov con una folla oceanica.
Secondo gli organizzatori, i dimostranti sarebbero stati cento mila, mentre per le Autorità non si può parlare di più di 30 Mila persone. Ciononostante, l’affluenza è stata ben superiore alla precedente manifestazione di massa del 10 Dicembre, a cui, in Piazza Bolotnaja, hanno partecipato in 20 Mila: numeri da capogiro se si considera il clima di terrore finora imposto dalle autorità russe, che malvolentieri hanno tollerato ogni espressione di dissenso, sia pubblica che privata.
Ai sostenitori dei movimenti di opposizione Solidarnost’ – di orientamento democratico – ed Altra Russia – liberalprogressista – si sono aggiunti militanti di ogni colore, dall’estrema destra alla sinistra, e persino privati cittadini: uniti nel protestare contro i brogli elettorali che, lo scorso 4 Dicembre, hanno garantito la maggioranza quasi assoluta alla Duma al Partito del Potere, Russia Unita.
Dopo i discorsi dal palco dei principali Leader del dissenso politico al Cremlino – il vice-capo di Solidarnost’, Boris Nemcov, l’ex-Ministro delle Finanze, Aleksej Kudrin, il campione di scacchi, Garri Kasparov, il blogger Aleksej Naval’nyj, la nota teleconduttrice, Ksenija Sobchak, e l’ultimo Presidente URSS, Mikhail Gorbachev – i manifestanti hanno richiesto una commissione d’inchiesta neutrale per appurare l’effettiva regolarità del voto del 4 Dicembre, ed invitato ogni cittadino russo a partecipare alle Elezioni Parlamentari del prossimo 4 Marzo per votare un candidato qualsiasi al di fuori dell’esponente della verticale del potere, l’attuale Premier, Vladimir Putin.
Janukovych poliziotto di Putin
Oltre a quella di Mosca – che gli organizzatori hanno promesso di replicare nei prossimi mesi – simili manifestazioni si sono svolte in centri di provincia, dove, all’oscuro delle telecamere dei principali network internazionali, si sono registrati arresti e repressioni da parte delle Autorità. A San Pietroburgo, tra i 1500 dimostranti la polizia ha fermato alcuni “provocatori”, mentre a Barnaul ad essere arrestati sono stati i quattro organizzatori della manifestazione locale, a cui hanno partecipato circa 400 persone.
In linea con il regime di Mosca è anche quello di Kyiv, dove il Presidente, Viktor Janukovych, continua a dare prove della svolta autoritaria adottata dalla sua Amministrazione: già responsabile di arresti e processi politici a carico di una decina tra giornalisti indipendenti ed esponenti dell’Opposizione Democratica. La manifestazione in solidarietà agli oppositori russi della Coalizione dei Partecipanti della Rivoluzione Arancione, sul centrale Khreshchatyk, è stata repressa dalla polizia con cinque arresti.
Ufficialmente, la simpatica dimostrazione – organizzata su una giostra – è stata interrotta con la forza per disturbo della quiete pubblica, ma è difficile escludere che, anche sulle Rive del Dnipro, il minimo dissenso inizi davvero a dare fastidio, sopratutto in seguito al congelamento dei rapporti con l’Unione Europea: turbata dinnanzi al rapido regresso della democrazia in Ucraina, con cui Janukovych sta isolando sempre più il suo Paese a livello internazionale.
Un segnale preoccupante, che dimostra come – a differenza di quanto abilmente tollerato a Mosca dalle Autorità: intenzionate a presentarsi al Mondo come realmente democratiche – il puntinismo sia ancora vivo e ben radicato non solo nella sterminata provincia russa, ma anche in Paesi europei, una volta parte dell’Unione Sovietica.
Matteo Cazzulani
JULIJA TYMOSHENKO RINUNCIA A DIFESA E RICORSO IN CASSAZIONE: “LA MIA CONDANNA GIA SCRITTA DAL PRESIDENTE JANUKOVYCH”
La Leader dell’Opposizione Democratica ucraina denuncia la politicizzazione dei processi a suo carico, e ricorre alla Corte Europea per i Diritti Umani. Oltre a Serhij Vlasenko, ingaggiato l’avvocato della vedova Gongadze
Se in Ucraina non c’è giustizia, meglio puntare solo sull’Europa. Giovedì, 22 Dicembre, la difesa della Leader dell’Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko ha deciso di boicottare le prossime sedute dei processi a carico dell’ex-Primo Ministro, rinunciato al ricorso in cassazione, e ritenuto la Corte Europea per i Diritti Umani l’unico tribunale in cui cercare giustizia.
Secondo quanto dichiarato dall’avvocato Serhij Vlasenko, la scelta è stata presa dalla stessa Tymoshenko che, con una lettera scritta di proprio pugno dalla cella del carcere di massima sicurezza Luk’janivs’kyj – dove è detenuta dallo scorso 5 Agosto: ancor prima che un verdetto ne certificasse la colpevolezza – ha contestato i giudici per la loro parzialità nella conduzione dei procedimenti, ed accusato il Presidente, Viktor Janukovych, di essere il regista di una repressione politica volta all’eliminazione della sua principale oppositrice.
“Guardando dalla mia cella al terribile spettacolo in cui si sono tramutati i processi a mio carico rinuncio alla partecipazione ed al ricorso in cassazione contro le vergognose decisioni delle Corti di primo e secondo grado – ha scritto la Leader dell’Opposizione Democratica – L’Amministrazione Janukovych ha annichilito l’indipendenza della magistratura. Credo che la Corte Europea per i Diritti Umani saprà riconoscere e valutare le assurdità di quelli che le Autorità di Kyiv chiamano processi”.
Già designata la squadra di legali che difenderà la Leader dell’Opposizione Democratica in Europa. Oltre a Vlasenko – l’avvocato di fiducia – è stata ingaggiata Valentyna Telychenko, già difensore della vedova di Georgij Gongadze: giornalista di opposizione alla presidenza autoritaria di Leonid Kuchma – poi spazzata dalla Rivoluzione Arancione, guidata, nel 2004, proprio dalla Tymoshenko – barbaramente assassinato il 16 Novembre del 2000 nelle campagne alle porte di Kyiv e, oggi, simbolo di una libertà di stampa che Janukovych è tornato a reprimere, dopo la parentesi felice legata all’Amministrazione del suo predecessore, Viktor Jushchenko.
Lo scorso 10 Agosto, l’istanza di ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani è stata presentata contro la politicizzazione del processo a carico della Leader dell’Opposizione Democratica, l’illegalità della sua detenzione preventiva – prima della formulazione di un verdetto – la condotta irregolare dei giudici – rei di avere ripetutamente violato la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo – e le condizioni disumane in cui l’imputata è costretta a vivere nel Carcere di massima sicurezza.
Successivamente, la Corte ha inserito agli atti le risoluzioni di USA e Parlamento Europeo di condanna della repressione politica in atto in Ucraina a carico di esponenti dell’Opposizione Democratica: tra cui l’ex-Ministro degli Interni, Jurij Lucenko, e la Leader dello schieramento arancione, Julija Tymoshenko.
La Corte ucraina procede anche senza l’arringa
Lecito ricordare che l’ex-Primo Ministro è stata condannata a sette anni di reclusione in isolamento per abuso d’ufficio nel corso delle trattative per il gas del Gennaio 2009 con l’allora suo collega russo, Vladimir Putin. Il verdetto è stato formulato dopo un processo farsa, costruito su prove irregolari – addirittura datate il 31 Aprile – e sistematica violazione dei diritti della difesa: privata persino della possibilità di convocare propri testimoni.
Inoltre, la Tymoshenko è stata arrestata una seconda volta per sospetta evasione fiscale durante la guida del colosso energetico JEESU – controllato prima della discesa in campo del 1998. La sentenza è stata pronunciata lo scorso 8 Dicembre, dopo un’udienza lampo nella cella della Tymoshenko, con giudice e pubblica accusa seduti attorno al letto dell’imputata.
Come dichiarato a più riprese dai suoi difensori, l’ex-Primo Ministro rischia la paralisi, ed è costretta alla permanenza in posizione supina da un forte mal di schiena, che le condizioni igienico-sanitarie della prigione, e la condotta della Autorità carcerarie – contrarie alla concessione del permesso di ingresso ai medici di fiducia della Leader dell’Opposizione Democratica – non consentono di curare.
Anche i ricorsi alle due condanne sono stati condotti in linea con le irregolarità registratesi nel primo grado: le richieste della difesa per il ripristino della fase degli interrogatori, la liberazione dell’imputata, e la garanzia di assistenza medica per la Tymoshenko sono state sistematicamente respinte scena valide motivazioni. Dinnanzi alla rinuncia alla presenza alle sedute, la Corte d’Appello ha deciso la continuazione del procedimento anche senza la difesa.
Matteo Cazzulani
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