LA VOCE ARANCIONE. Il Blog di Matteo Cazzulani

PER LA TAP ANCHE GAS CURDO-IRACHENO

Posted in Birmania, Guerra del gas by matteocazzulani on March 24, 2013

Il consorzio del Gasdotto Trans Adriatico opta per un piano B in caso di mancato trasporto dell’oro blu azero. L’opportunità per l’Italia in ambito geopolitico ed energetico.

Gas curdo-iracheno e turkmeno come piano di riserva per la sicurezza energetica europea.

Nella giornata di venerdì, 22 Marzo, il consorzio deputato alla realizzazione del Gasdotto Trans Adriatico -TAP- ha ammesso la possibilità di veicolare attraverso l’infrastruttura gas proveniente dal Kurdistan iracheno.

Come dichiarato dal Direttore delle Relazioni Esterne della TAP, Michael Hoffman, il trasporto del gas dal Kurdistan iracheno, che è stato avallato dal Ministero dell’Energia turco, costituisce per il Gasdotto Trans Adriatico un’alternativa all’oro blu dell’Azerbaijan.

La TAP, sostenuta economicamente dal colosso norvegese Statoil, dalla compagnia svizzera AXPO, e dalla tedesca E.On, e supportata politicamente dai Governi di Italia, Svizzera, Albania e Grecia, è concepita per veicolare 21 Miliardi di metri cubi di gas azero all’anno in Salento dal territorio greco attraverso quello albanese.

Concorrenti della TAP sono altri due gasdotti, come il Nabucco, progettato dalla Commissione Europea con il sostegno politico di Austria, Polonia, Slovacchia, Romania, Bulgaria e Turchia per veicolare 30 miliardi di metri cubi di gas azero all’anno al terminale austriaco di Baumgarten dal territorio turco occidentale attraverso quello bulgaro, romeno ed ungherese.

Competitor sia della TAP che del Nabucco è il Southstream: conduttura progettata dalla Russia per veicolare 63 Miliardi di metri cubi di gas in Austria dal territorio russo attraverso il fondale del Mar Nero, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia e Italia.

Questo gasdotto ha lo scopo politico da parte della Russia di bloccare la realizzazione sia del Nabucco che della TAP e garantire così l’egemonia di Mosca nel settore energetico in Unione Europea -che dipende dalle forniture di gas russo per il 40% del fabbisogno continentale complessivo.

La presenza di un piano alternativo al trasporto del gas azero fa della TAP un progetto concretamente realizzabile, anche assieme al Nabucco.

Se costruito, il Gasdotto Trans Adriatico permette all’Italia di diventare l’hub in Europa del gas dall’Azerbaijan, o dal Kurdistan iracheno, rafforza il peso politico del nostro Paese in seno all’UE, e favorisce la creazione di posti di lavoro in un momento di particolare crisi economica e sociale.

Gas turkmeno attraverso la TANAP

Oltre al gas azero e curdo, possibile per l’Europa è anche il trasporto del gas turkmeno attraverso il Gasdotto Trans Anatolico -TANAP.

Questa infrastruttura, supportata dai colossi energetici britannico British Petroleum, norvegese Statoil, azero SOCAR, dalla compagnia francese Total, e da quella turca Botas, è progettata per veicolare 30 miliardi di metri cubi di gas azero all’anno dalla Georgia alla Turchia occidentale.

Come dichiarato dal Ministro dell’Energia turco, Taner Yildiz, Ankara è intenzionata ad ammettere anche 6 miliardi di metri cubi di gas dal Turkmenistan nella TANAP per rifornire l’Unione Europea di una fonte di approvvigionamento alternativa, che sarà utile ad contrastare il quasi monopolio della Russia nel mercato energetico europeo.

Matteo Cazzulani

AUNG SAN SUU KYI E JULIJA TYMOSHENKO: DONNE CHE LOTTANO PER LA DEMOCRAZIA

Posted in Birmania, Ukraina by matteocazzulani on April 2, 2012

La guida del Movimento Popolare per la Democrazia in Birmania, vincitrice delle elezioni suppletive di Domenica, Primo di Aprile, e la Leader dell’Opposizione Democratica ucraina, detenuta per avere guidato il dissenso al Presidente Viktor Janukovych, come due esempi di coraggio femminile e di attaccamento costante alla libertà e ai valori dell’Occidente

La Leader del Movimento Popolare per la Democrazia birmano, Aung San Suu Kyi

La democrazia si tinge di rosa: oggi in Birmania, ieri, e forse anche un Domani, in Ucraina. Nella giornata di Domenica, Primo di Aprile, la Leader del Fronte Popolare per la Democrazia birmano, Aung San Suu Kyi, ha portato la sua forza politica alla netta vittoria nelle elezioni suppletive con cui il regime di Rangoon ha posto fine a venticinque anni di impasse politica, durante i quali l’Opposizione non è stata ammessa ad alcuna consultazione elettorale.

Un successo quasi plebiscitario – nel suo collegio, la carismatica politica ha ottenuto l’89% dei consensi – che ha visto il Regime dei militari battuto anche nelle roccaforti tradizionalmente a esso fedeli, ma che, dato il carattere limitato dei seggi messi in palio, non servirà a mutare la situazione del Parlamento, in cui il governo mantiene comunque una salda maggioranza.

Ciò nonostante, quella di Aung San Suu Kyi è una dimostrazione di come la tenacia e l’attaccamento ai valori di libertà e democrazia possono, prima o poi, trionfare. La leader politica birmana, figlia del leggendario generale Aung San, ha passato 15 anni agli arresti domiciliari per essersi opposta a un regime che si è reso protagonista di una sistematica violazione dei diritti umani, di una censura sulla stampa, che ha portato la Birmania all’isolamento internazionale, e che ha registrato addirittura casi di violenza su donne appartenenti alle minoranze etniche.

Con il suo coraggio, e la logica nonviolenta da lei sempre adoperata, la San Suu Kyi è riuscita a fendere questa cortina di buio, ha riacceso le speranze degli elettori – che vedono in lei la paladina della libertà, della democrazia e del progresso – e ha portato l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America a togliere le sanzioni imposte alla Birmania, nonostante quelle di Domenica non siano state consultazioni pienamente libere.

Il pavone giallo su sfondo rosso – il simbolo del Movimento Popolare per la Democrazia della San Suu Kyi – ricorda molto l’arancione che in Ucraina nel 2004 è stato adottato da un’altra donna, Julija Tymoshenko, per protestare pacificamente contro i brogli elettorali e realizzare un processo democratico che, dopo dodici anni di mancato sviluppo del Paese, e 5 anni di involuzione sotto il secondo mandato del presidente Leonid Kuchma, ha reso Kyiv capitale di un Paese libero, democratico, rispettoso dello stato di diritto e pienamente in linea con i parametri occidentali in merito a pluralismo partitico e libertà di stampa.

Tuttavia, questa parentesi europea dell’Ucraina è durata, a singhiozzo, solo un quinquennio: i contrasti in seno alla coalizione arancione tra la Tymoshenko, Primo Ministro per tre legislature, e il Presidente, Viktor Jushchenko, hanno dissipato un notevole patrimonio di consenso ottenuto durante la Rivoluzione nonviolenta del 2004 da parte di un popolo che ha visto nel Capo dello Stato, e ancor più nella carismatica Guida del Governo, paladini di democrazia, giustizia, Europa e Indipendenza dell’Ucraina.

Nel 2010, le Elezioni Presidenziali sono state vinte da Viktor Janukovych, l’avversario sconfitto dalla Rivoluzione Arancione, che, dopo soli pochi mesi, ha accresciuto i suoi poteri a spese di quelli del Parlamento, ha falsificato le Elezioni Amministrative, e ha avviato una campagna di controllo sui media e di arresti politici a carico di esponenti di spicco del campo democratico, tra cui la Tymoshenko: rimasta sempre sua Leader.

Costei, l’11 Ottobre 2011, dopo un processo palesemente irregolare, è stata condannataa sette anni di detenzione in isolamento, più tre di interdizione alla vita politica, per avere firmato accordi energetici con la Russia ritenuti svantaggiosi per le casse statali.

La situazione dell’Ucraina di Janukovych non è ai livelli della Birmania dei generali – a Kyiv non avvengono violenze sulle donne appartenenti alle minoranze etniche – ma il controllo sulla stampa, l’imprigionamento degli esponenti dell’Opposizione, la limitazione del dissenso, e l’isolamento internazionale – dopo essersi visto congelata la firma dell’Accordo di Associazione UE-Ucraina, il Capo di Stato ucraino è stato ripetutamente ignorato dai suoi colleghi mondiali in ogni occasione pubblica – sono elementi in comune tra Kyiv e Rangoon.

Anche l’Europa ha la sua San Suu Kyi

L’aggravante, dal punto di vista europeo e italiano, risiede nel fatto che l’involuzione democratica di cui è stata vittima la Tymoshenko ha colpito un Paese fondamentale per l’indipendenza energetica e la sicurezza nazionale degli Stati dell’UE: dall’Ucraina transita l’89% del gas con cui è soddisfatto il fabbisogno italiano e il 70% di quello europeo, e la presenza a Kyiv di un regime democraticamente immaturo e isolato internazionalmente, com’è quello di Janukovych, non risiede nell’interesse geopolitico del Vecchio Continente.

Altresì, Julija Tymoshenko è stata condannata per avere firmato accordi con cui, nel Gennaio 2009, ha convinto la Russia a ripristinare l’invio di gas verso l’Europa – che Mosca ha precedentemente tagliato per mettere in difficoltà il governo filo-europeo degli arancioni – ha mantenuto il possesso ucraino sui propri gasdotti nazionali, e ha garantito all’Europa l’afflusso dell’oro blu necessario per dare linfa all’economia di Bruxelles e per scaldare le case degli europei.

E’ anche per questa ragione che non è peregrino auspicare per la Tymoshenko una parabola politica simile a quella coronata dalla San Suu Kyi, affinché, in un Mondo sempre più libero, al sorriso della tenace guida del Fronte Popolare per la Democrazia birmano si possa aggiungere quello dell’altrettanto carismatica Leader dei democratici ucraini – nonché, per le ragioni illustrate, paladina dell’indipendenza energetica europea.

Per la Leader politica ucraina non sarà facile superare i sette anni di detenzione in isolamento in una colonia penale di periferia – a cui potrebbero sommarsene altri dodici: per via di un secondo processo montato a suo carico per evasione fiscale – ma, forse, l’esempio della Signora – com’è chiamata la San Suu Kyi in patria – potrà servire alla Lady di Ferro ucraina – come invece è stata battezzata la Tymoshenko – come motivazione in più per resistere, e progettare l’arresto di un processo di involuzione democratica che sta colpendo un Paese europeo per storia, cultura e tradizioni.

Matteo Cazzulani