LA VOCE ARANCIONE. Il Blog di Matteo Cazzulani

LA COMMISSIONE EUROPEA VARA UNA STRATEGIA ENERGETICA COMUNE

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 29, 2012

I Paesi UE invitati a condividere i dettagli inerenti lo stato delle trattative con enti e compagnie registrati al di fuori dell’Unione Europea. Il provvedimento passa all’esame dei singoli governi, ma la continua espansione della Russia monopolista nel mercato del Vecchio Continente potrebbe rendere il documento un’iniziativa tardiva

I percorsi di Southstream e Nabucco

La messa in comune delle informazioni come antidoto a politiche energetiche di corto respiro. Nella giornata di martedì, 28 Febbraio, la Commissione Europea ha varato un piano che obbliga i singoli Paesi dell’UE a comunicare a Bruxelles i dettagli legati alle trattative intraprese, in campo energetico, con soggetti registrati al di fuori del Vecchio Continente.

Come illustrato dal Commissario all’Energia, Gunther Oettinger, il provvedimento punta alla creazione di un mercato unico europeo anche nel settore dell’energia e, sopratutto, ha lo scopo di consolidare la posizione dei 27 Stati UE nelle trattative intavolate con forti monopolisti, che vedono la compravendita del gas, e la gestione dei gasdotti dell’Europa, come un Eldorado su cui lucrare. Spesso, a discapito degli interessi di Bruxelles.

Il voto della Commissione, tuttavia, non è nulla di definitivo, dal momento in cui ad esso segue una girandola di negoziati con i singoli Paesi per l’approvazione definitiva. Come riportato da diverse fonti del Parlamento Europeo, è forte il timore che alcuni Stati possano anteporre il proprio interesse a quello generale dell’UE, e bloccare l’iter di approvazione di un documento di importanza strategica.

Tra i Paesi indiziati figurano in primis Germania e Francia: legati alla Russia da contratti che consentono al monopolista russo, Gazprom, la gestione diretta, parziale o totale, dei gasdotti dei due Stati più influenti nell’Unione Europea. Inoltre, Berlino ha ottenuto sensibili sconti sul gas importato da Mosca, e ha sostenuto la Russia nella costruzione del Nordstream: gasdotto sottomarino che collega direttamente il territorio russo a quello tedesco, bypassa Paesi politicamente ostili al Cremlino come Polonia e Stati Baltici, e de facto, divide l’UE.

Parigi, dal canto suo, ha ottenuto sensibili ribassi sulla bolletta e compartecipazionicoi russi in diversi progetti energetici nel Mondo: il tutto, in cambio del sostegno politico francese in sede europea alla realizzazione dei piani della Russia, seppur palesemente in contrasto con l’interesse generale di Bruxelles.

All’asse franco-tedesco si è aggiunta, lunedì, 27 Febbraio, anche la Slovenia. Trattative di alto livello, a cui hanno partecipato il Presidente e il Premier sloveni, Danilo Turk e Janez Jansa, ed il Capo di Gazprom, Aleksej Miller, hanno cementato le relazioni energetiche tra Lubiana e Mosca, e confermato la partecipazione della Slovenia al Southstream.

Questo gasdotto è progettato dal Cremlino sul fondale del Mar Nero per rifornire di gas direttamente l’Europa Occidentale e saltare, sul modello del Nordstream, Stati che si sono opposti alle politiche monopolistiche della Russia, come Romania, Moldova, e Ucraina.

Oltre al divide et impera dell’Unione Europea, la costruzione del Southstream ha anche lo scopo di costringere i soggetti penalizzati dalla sua realizzazione alla cessione della gestione dei propri gasdotti nazionali a Gazprom, la quale, contando su infrastrutture già realizzate, potrebbe così mantenere l’egemonia sulla compravendita di gas in Europa senza costruire un gasdotto ex-novo.

Accordi in tale direzione, oltre che da Germania e Francia, sono stati firmati da Slovenia, Austria e Slovacchia: fatto che ha gettato in allarme Repubblica Ceca e Italia.

La compagnia ceca Net4Gas, proprietaria dei gasdotti della Repubblica Ceca, si è detta preoccupata dalla possibile decisione da parte della tedesca RWE – da cui la Net4Gas è controllata, e che vanta rapporti stretti con i russi – del controllo parziale sul sistema infrastrutturale energetico di Praga. Una soluzione tutt’altro che peregrina: le condutture ceche sono collegate a quelle slovacche, slovene, austriache, e tedesche che Gazprom ha opzionato.

Il colosso energetico italiano ENI ha riaperto frettolosamente le trattative con Gazprom per la revisione dei contratti. Il rischio è che il monopolista russo rilevi il controllo sull’intera tratta dei gasdotti tramite la quale l’Italia importa la maggior parte del gas proveniente dalla Russia: una situazione da cui Roma non avrebbe scampo, al punto che lo stesso Amministratore Delegato del Cane a Sei Zampe, Paolo Scaroni, ha espresso la necessità di creare un mercato energetico unico europeo. De facto, allineandosi alle linee votate dalla Commissione.

Il nucleare come risposta al monopolio di Gazprom

Dinnanzi allo strapotere della Russia monopolista, differente è stata la risposta dei Paesi dell’Europa Centrale. Come rilevato dal Capo della Direzione Generale della Commissione Europea in materia energetica, Philip Lowe, sono una decina gli Stati UE che, malgrado l’avversione al nucleare finora dimostrata, hanno avviato programmi di sfruttamento dell’atomo per supplire al gas importato dalla Russia.

Nonostante l’ondata di proteste successive al disastro di Fukushima, e non potendo ripiegare sul carbone per non infrangere gli obblighi sottoscritti dall’Unione Europea nell’ambito del Protocollo di Kyoto, molti dei Paesi del Vecchio Continente, Polonia in primis, hanno giustificato la costruzione di reattori come una scelta necessaria per garantire la propria indipendenza energetica e la sicurezza nazionale ad essa collegata, messa a serio repentaglio dall’egemonia quasi incontrastata di Gazprom nel Vecchio Continente.

Matteo Cazzulani

JURIJ LUCENKO CONDANNATO: L’UCRAINA IN EUROPA E’ SEMPRE PIU’ UN’UTOPIA

Posted in Ukraina by matteocazzulani on February 28, 2012

L’ex-Ministro degli Interni condannato a quattro anni di reclusione e alla confisca dei beni immobili. Dopo Julija Tymoshenko, è la seconda guida del processo democratico ucraino del 2004, noto come Rivoluzione Arancione, ad essere vittima della repressione politica organizzata del regime del Presidente, Viktor Janukovych. L’Occidente protesta

L'ex-ministro degli Interni, Jurij Lucenko

Dopo Julija Tymoshenko, anche l’altro principale protagonista del processo democratico in Ucraina è finito dietro alle sbarre in definitiva. Nella giornata di lunedì, 27 Febbraio, l’ex-Ministro degli Interni, Jurij Lucenko, è stato condannato a quattro anni di carcere, alla confisca dei propri beni immobili, alla privazione del riconoscimento dello status di funzionario emerito dello Stato, e al pagamento di due multe onerose.

Lucenko, Leader della forza politica dell’Opposizione Democratica Narodna Samooborona, è stato riconosciuto colpevole di abuso di potere per avere imposto l’aumento della pensione del proprio autista, Leonid Prystupljuk – anch’egli condannato a tre anni di prigione con la condizionale – gonfiato le spese per l’organizzazione del Giorno della Polizia del 2008 e del 2009, ed essersi intromesso per inquinare le indagini inerenti l’avvelenamento ai danni dell’ex-Presidente, Viktor Jushchenko, durante la campagna elettorale del 2004.

Affaticato da una detenzione preventiva che lo ha costretto al carcere in isolamento dal 26 Dicembre 2010, Lucenko – che ha dovuto assistere a tutto il processo da dietro le sbarre in un apposito angolo dell’aula del tribunale – ha rigettato ogni accusa, e ha ritenuto che il verdetto è stato dettato alla Corte dalle Autorità politiche come omaggio per il Presidente, Viktor Janukovych: giunto al secondo anniversario del proprio insediamento.

In effetti, molti sono i dubbi che la sentenza ha sollevato, dal momento in cui dell’ottantina di testimoni che sono stati interrogati durante il processo – avviato nel Maggio 2011 – solo tre non hanno scagionato Lucenko, e non ne hanno riconosciuto la totale innocenza.

Del resto, lo stesso Lucenko gode di una fama di gran lunga migliore di molti suoi colleghi in Ucraina: vice-Leader del Partito Socialista di Ucraina, poi a capo delle proteste contro la torbida presidenza di Leonid Kuchma – caratterizzata da repressioni a danno di politici e giornalisti – protagonista della Rivoluzione Arancione, e Ministro degli Interni nei governi filo-occidentali di Julija Tymoshenko, l’esponente dell’Opposizione Democratica non ha mai abusato del suo peso politico per arricchirsi o esportare propri capitali all’estero in qualche paradiso fiscale.

Un esempio molto raro sulle Rive del Dnipro, al punto che in molti attribuiscono la sua condanna alla precisa volontà politica del Presidente Janukovych di eliminare avversari politici che, nel breve termine, avrebbero potuto insidiare la sua leadership – come normalmente avviene in ogni democrazia.

Immediate sono state le reazioni della Comunità Occidentale, turbata all’unisono per un verdetto dalla dubbia regolarità. Con una nota congiunta, l’Alto Rappresentante della Politica Estera UE e il Commissario Europeo all’Integrazione e all’Allargamento, Catherine Ashton e Stefan Fule, hanno ritenuto il processo non in linea con gli standard internazionali di imparzialità e neutralità della magistratura dalla politica, e hanno ritenuto tale episodi un’ulteriore macigno che rende sempre più lontana l’Ucraina dall’UE.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha invitato le Autorità ucraine a liberare Lucenko, e a garantirgli la partecipazione alle prossime elezioni politiche. Secondo gli USA, il trattamento riservato all’ex-Ministro degli Interni e all’ex-Primo Ministro, Julija Tymoshenko, pongono un serio interrogativo sull’effettiva esistenza in Ucraina di una democrazia.

“La condanna dell’ex-Ministro degli Interni è l’ennesima prova della mancanza dello stato di diritto in Ucraina – ha dichiarato, con una nota, il Capo del Foreign Office della Gran Bretagna, David Livington – ed è stata dettata da un’evidente motivazione politica. Kyiv, nei fatti concreti, dimostra di non tenere all’integrazione europea”.

Dal canto suo, il Ministero degli Esteri della Polonia ha diffuso una nota in cui ha espresso fiducia nella conduzione di un processo d’Appello – a cui la Difesa di Lucenko ha dichiarato di voler fare ricorso – in linea con gli standard internazionali, in grado di garantire all’esponente dell’Opposizione Democratica la possibilità di difendersi in un procedimento equo e giusto”.

L’Ucraina è una dittatura

Innumerevoli le condanne espresse anche dalle diverse forze dell’Opposizione Democratica, tra le quali spicca per importanza quella della sua Leader, Julija Tymoshenko: costretta a sette anni di detenzione per una simile condanna politica sentenziata l’11 Ottobre 2011.

Secondo quanto riportato al suo avvocato, Serhij Vlasenko, il processo a Lucenko non ha nulla in comune con la democrazia e gli standard europei, ed è frutto di un ordine diretto del Presidente Janukovych, il quale, nelle pubbliche occasioni, cerca invece di convincere i suoi colleghi e i Capi di governo europei della sua innocenza.

“Una persona che ricopre la guida di un Paese non arriva a comprendere concetti elementari – ha dichiarato Vlasenko all’uscita della colonia penale femminile Kachanivs’kyj di Kharkiv, riportando le parole della Tymoshenko – Nelle vesti di garante della Costituzione, il Presidente dell’Ucraina avrebbe dovuto reagire a una sentenza in pieno contrasto la Carta Suprema. E’ la prova che Kyiv non è amministrata da un Capo di Stato europeo, ma da un dittatore, simile a molti altri nel Nordafrica”.

Matteo Cazulani

REFERENDUM DI SANGUE IN SIRIA.

Posted in Mondo Arabo by matteocazzulani on February 27, 2012

Il presidente siriano, Bashar al Asad indice una consultazione per apportare mutamenti cosmetici al regime, ma reagisce all’invito di disertare le urne da parte dell’opposizione aprendo il fuoco sui civili. Le condanne dell’Occidente e il supporto della Russia alle Autorità di Damasco

Il presidente siriano, Bashar al-Asad

Tra le urne e il fuoco dei miliari. Questa è l’atmosfera nel quale, Domenica, 26 Febbraio, si è svolto in Siria il Referendum per la riforma della Costituzione: un’iniziativa intrapresa dal Presidente, Bashar al-Asad per cercare di dare un volto democratico al regime di Damasco.

Nello specifico, il Referendum prevede l’evoluzione dello Stato da un sistema mono-partitico ad un pluripartitismo destinato a formare un governo di coalizione in un nuovo ordinamento in cui, tuttavia, il grosso del potere è mantenuto dal Presidente.

A osteggiare l’iniziativa è stata l’opposizione, che ha definito il referendum una “farsa”, e ha invitato i siriani a boicottare le urne. Un’indicazione tuttavia che non tutti hanno condiviso: in molti hanno ritenuto la partecipazione alla consultazione un’opportunità unica da sfruttare per allentare le tenaglie del governo voluto da Asad.

Di carattere opposto alle sperate aperture democratiche è stata la reazione dell’esercito, che, secondo le opposizioni, hanno aperto il fuoco nelle città periferiche di Homs, Idilib, Deir az-Zur, e Dabaa, provocando la morte di circa 100 civili.

Pronta la critica dell’Occidente, che ha contestato duramente le violenze perpetrate da Damasco. Il Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, si è appellata ai businessman e ai soldati affinché non appoggino le iniziative del presidente contro i propri connazionali e, con un gesto di coraggio e di eroismo patriottico, decidano di appoggiare l’opposizione.

Concorde anche il Ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, che ha concordato sul definire una “farsa” il referendum, mentre il suo collega turco, Ahmet Davutoglu, ha illustrato come non sia ipotizzabile invitare i cittadini alle urne dopo avere aperto il fuoco su di essi.

Contrari alle critiche Russia e Cina, che appoggiano il regime di Damasco in sede ONU e, nel caso di Mosca, anche con l’appoggio militare della propria flotta. Nella giornata di giovedì, 24 Febbraio, i Ministri degli Esteri russo e cinese, Sergej Lavrov e Yang Jiechi, hanno concordato una posizione unica che l’asse Mosca-Pechino intende mantenere per guidare sotto la propria egida le trattative tra Autorità e insorti democratici.

Il regime a gestione famigliare che spara su democratici e giornalisti

Il Partito BAAS governa incontrastato in Siria dagli anni ’60, mentre dagli anni ’70 il potere è stato esercitato solamente dalla famiglia degli Assad: dapprima da Hafiz-al-Asad, poi dal figlio, Bashar.

Dopo tutti questi anni di mancata democrazia, i siriani hanno deciso di cogliere l’onda democratica della cosiddetta primavera araba per ribellarsi ad un oppressione che ha reagito con la violenza, provocando, dal 2011, circa 7 Mila vittime. Tra essi, anche giornalisti, tra cui, mercoledì, 24 Febbraio, la fotoreporter francese, Remy Ochlik, e la corrispondente del Sunday Times, Mary Colvin.

Matteo Cazzulani

L’IMPORTANZA DI UN MINISTRO UNICO DELL’ENERGIA PER L’UNIONE EUROPEA

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 26, 2012

Dinnanzi alle rinate velleità imperiali della Russia monopolista, il Vecchio Continente deve puntare su una comune politica del gas per diminuire la dipendenza da Mosca e garantire nel futuro la propria indipendenza. La pari importanza di una politica orientale dell’UE e del rafforzamento dei rapporti atlantici come risposta alla provincializzazione dell’Occidente in un mondo dominato da Cina, India e Brasile 

La Leader dell'Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko, durante il processo

Il gas è il carburante della democrazia. Questa frase può apparire contraddittoria, sopratutto se ad utilizzarla per aprire un editoriale è una penna notoriamente attenta a sottolineare, e denunciare, lo sfruttamento dell’arma energetica per la realizzazione di una politica imperiale e monopolistica diretta contro l’Europa da parte della Russia: intenzionata a disfarsi del Vecchio Continente per appropriarsi dello status di superpotenza mondiale.

In effetti, basterebbe leggere quanto avvenuto solamente nel corso dell’ultima settimana per rendersi conto che il gas è proprio uno dei fattori che, lentamente ma decisamente, sta logorando, più della crisi dell’euro, la democrazia ed il sogno europeo.

In risposta alla politica con cui Mosca ha rinnovato in maniera arbitraria i contratti per la vendita del gas all’Europa, nell’ambito della quale ha concesso sconti solo alle compagnie energetiche dei Paesi UE alleati – Francia, Germania, Italia, Slovenia, Slovacchia, Olanda per citarne alcuni – lasciando invece alti i prezzi imposti agli Stati dell’Europa Centrale maggiormente critici nei confronti del Cremlino, il colosso polacco PGNiG ha aperto un riscorso presso l’Arbitrato Internazionale di Stoccolma contro il monopolista russo, Gazprom: un fatto senza precedenti nella storia.

Di pari passo, la Romania – Paese fortemente dipendente dalle forniture della Russia che appartiene alla lista degli Stati politicamente invisi al Cremlino – ha implementato la ricerca di giacimenti sul proprio territorio e, mercoledì, 22 Febbraio, è stata premiata con la scoperta di un serbatoio di gas nel Mar Nero che, secondo le stime degli esperti, garantirebbe a Bucarest un’autonomia per tre anni.

Degna di menzione è anche la Lituania: Stato non interessato dalla campagna sconti dei russi – a differenza dei suoi vicini baltici Lettonia ed Estonia – che per ottenere giustizia energetica ha applicato alla lettera le legge europea che impone l’estromissione dal mercato europeo di monopolisti registrati al di fuori dell’Unione Europea, tra cui, per l’appunto, Gazprom.

Queste mosse, tuttavia, non hanno portato i russi ad alcun passo indietro. Al contrario, giovedì, 23 Febbraio, la Russia ha minacciato di lasciare a secco di gas l’Ucraina, e, come confermato da rilevazioni ufficiali, ha già iniziato a trasferire l’intero traffico di gas dai gasdotti di Kyiv – da cui transita l’80% del gas importato dall’Unione Europea – a due condutture settentrionali già esistenti: il gasdotto Jamal-Europa – che collega la Russia alla Germania passando per la Bielorussia e la Polonia – e il Nordstream.

Quest’ultimo è una intricata conduttura sottomarina costruita sul fondale del mar Baltico per collegare direttamente il territorio russo a quello tedesco, e bypassare Paesi politicamente invisi al Cremlino come Polonia, Lituania e Ucraina. Compartecipato da Gazprom con le compagnie statali di Germania, Francia e Olanda, il Nordstream esemplifica la politica del divide et impera di Mosca nei confronti nell’Unione Europea.

Complici alcuni Paesi alleati in seno all’UE, tra cui il potente asse franco-tedesco, la Russia non solo controlla la grandissima parte delle importazioni di gas dell’Europa, ma, rifornisce direttamente di oro blu e concede condizioni contrattuali di favore a Paesi “buoni”, mentre isola e lascia alta la bolletta per quelli “cattivi”. De facto, divide l’Europa, esercita un controllo incontrastato sul Vecchio Continente, e ne mantiene a se fedele la parte che più conta.

L’esempio ucraino nasconde altresì l’ennesimo progetto di imperialismo energetico sull’Europa della Russia monopolista. Mosca ha innalzato la tensione con Kyiv per costringere l’Ucraina a cedere al Cremlino il controllo totale o parziale dei suoi gasdotti nazionali, sfruttando abilmente la ricerca disperata di uno sconto sulla bolletta da parte delle Autorità ucraine e l’isolamento internazionale del Presidente, Viktor Janukovych.

Dopo avere scatenato una repressione politica a carico di esponenti dell’Opposizione Democratica – culminato con l’arresto della sua carismatica Leader, Julija Tymoshenko: nota per avere guidato nel 2004 il processo democratico passato alla storia come “Rivoluzione Arancione” – il Capo di Stato ucraino ha perso il sostegno dell’Occidente: necessario per mantenere una posizione di forza nei negoziati energetici con Gazprom.

A motivare gli appetiti dei russi sul sistema infrastrutturale energetico ucraino è la consapevolezza da parte della Russia di non potere contare a lungo su gas a sufficienza per mantenere la supremazia sull’Europa, e, nel corto termine, di non potere soddisfare il crescente fabbisogno di gas dell’Unione Europea in caso di crisi climatica. Per questa ragione, Mosca ha avviato una campagna acquisti dei gasdotti europei, riuscendo a firmare pre-accordi a riguardo con Berlino, Parigi, Vienna, Lubiana e Bratislava: il controllo delle condutture ucraine è, così, il logico passo per i russi con cui unificare il proprio sistema infrastrutturale con quello già parzialmente gestito di Slovacchia, Slovenia, Austria, Germania e Francia.

Tale scenario non solo aumenterebbe quantitativamente e cronologicamente la dipendenza energetica del Vecchio Continente dalla Russia, ma avrebbe conseguenze letali per l’Italia che, già fortemente legata al gas del Cremlino, si troverebbe a fare i conti con un monopolista padrone non solo dell’oro blu, ma dell’itinerario infrastrutturale con cui questo carburante è trasportato dai giacimenti russi direttamente al Tarvisio. Inutile illustrare quali ripercussioni questa situazione avrebbe per il BelPaese – e con esso per l’intera Europa – in termini di indipendenza energetica e, sopratutto, di sicurezza nazionale.

Addossare l’intera responsabilità della disperata situazione in cui si trova l’Unione Europa alla mai sopita politica imperiale della Russia, e all’atteggiamento di corto respiro di Francia e Germania, sarebbe tuttavia ingiusto e incompleto: anche Bruxelles dovrebbe piangere se stessa. Priva di strumenti che consentono all’UE una rapida risposta alle situazioni di emergenza, l’Unione Europea si è totalmente interessata solo di crisi economica e fronte mediterraneo, ma ha trascurato la questione energetica e, più in generale, il fronte orientale: senza comprendere che è su di questi ambiti che si gioca il futuro dell’Europa.

Timidi tentativi di varare una politica comune UE sono stati approntati con coraggio dalla Commissione Barroso, che, appoggiata dai Paesi dell’Europa Centrale, ha previsto la realizzazione di una catena di rigassificatori e la costruzione di condutture per accedere direttamente ai giacimenti di gas del Centro-Asia senza dipendere dal transito per il territorio russo.

Sul piano politico, particolare sforzo è stato profuso dalla presidenza di turno polacca nel secondo semestre 2011 la quale, consapevole per ragioni storiche di quale minaccia rappresenti realmente la Russia per l’Europa, ha sostenuto fino alla fine l’acceleramento dell’integrazione nell’UE dei Paesi dell’Europa Orientale – Ucraina, Moldova, e Georgia – sui quali Mosca ha riattivato le proprie attenzioni per tornare ad essere un impero.

A vanificare queste due iniziative sono stati da un lato il regresso democratico dell’Amministrazione Janukovych, che ha comportato il congelamento della firma dell’Accordo di Associazione UE-Ucraina – documento storico con cui Bruxelles avrebbe riconosciuto a Kyiv il medesimo status di partner privilegiato, oggi goduto da Islanda, Norvegia e Svizzera – e raffreddato l’interesse degli europei per i vicini confinanti ad est. Dall’altro, l’asse franco-tedesco – ha imposto in cima alla lista delle problematiche europee il salvataggio dell’euro, e l’attenzione esclusiva per le transizioni politiche in atto nel Nord Africa e in Medio Oriente.

Pur ammettendo la logica importanza della situazione della moneta unica, occorre evidenziare come il vero rilancio dell’Unione Europea sul piano internazionale, o, per meglio dire, le ultime speranze per mantenere Bruxelles un soggetto indipendente e sovrano, passino per la questione energetica e l’Europa Orientale. Con gli Stati Uniti temporaneamente deboli, e l’economia globale dominata da Cina, India e Brasile, la Russia ha la possibilità di affermarsi come superpotenza, e giocare alla pari con Pechino, Nuova Delhi e Brasilia.

Per realizzare questo progetto, Mosca necessita l’esclusione dell’Unione Europea: considerata il primo rivale la cui eliminazione è condicio sine qua non per la realizzazione delle ambizioni globali della Russia. Da un lato, il Cremlino ha varato un’Unione Eurasiatica con cui, su immagine e somiglianza dell’Unione Europea, sta portando sotto la sua sfera di influenza i Paesi dell’ex-Unione Sovietica, tra cui gli Stati dell’Europa Orientale. Dall’altro, le Autorità russe si sono avvalse di Gazprom come arma politica per annichilire l’Europa mediante il mantenimento della propria egemonia energetica sul Vecchio Continente.

La questione sarebbe sì disperata, ma non del tutto compromessa, se l’Europa, con uno scatto d’orgoglio e una dimostrazione di lungimiranza geopolitica, approntasse nell’immediato tre semplici misure. Dapprima, la nomina di un Ministro UE dell’Energia: un rappresentante europeo che conduca con una veste ufficiale un’unica politica del gas volta ad allentare la dipendenza del Vecchio Continente dalla Russia è l’unico mezzo istituzionale per impossibilitare la ricerca da parte di Francia e Germania del proprio singolo interesse a discapito di quello generale dell’UE.

In secondo luogo, l’Unione Europea deve integrare seduta stante l’Europa Orientale e la Turchia: senza Ucraina, Moldova e Georgia, la Russia vede fortemente ridimensionate, se non compromesse, le chance di ricostituire un proprio impero, mentre Ankara, per via della sua ubicazione geopolitica, rappresenta un partner energetico indispensabile per realizzare una politica energetica autonoma dal Cremlino.

Infine, l’Europa deve abbandonare ogni tentazione di ridurre l’ambito decisionale a un direttorio carolingio franco-tedesco, ma essere maggiormente inclusiva e rispettosa della Gran Bretagna e dei Paesi dell’Europa Centrale – i quali, dopo avere conosciuto le peggiori barbarie del secolo scorso, comunismo e nazismo, sono oggi le economie più in salute del Vecchio Continente – e, con un passo successivo, rinsaldare quanto più possibile la cooperazione con gli Stati Uniti d’America: è solo con la carta dell’atlantismo che l’Europa può sperare di competere in un Mondo sempre più dominato da tigri asiatiche, puma brasiliani e orsi russi.

Con una propria indipendenza energetica, l’UE potrebbe seriamente migliorare la condizioni di Paesi, anche europei, che per via del gas perdono di continuo la democrazia e la libertà. L’esempio più evidente è quello ucraino, dove la Leader dell’Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko, è stata arrestata con l’accusa di avere firmato accordi energetici sconvenienti per l’Ucraina.

Allora, nel Gennaio 2009, l’anima della Rivoluzione Arancione ha accettato le onerose condizioni contrattuali imposte dalla Russia pur di rinnovare l’invio di gas verso i Paesi UE, che Mosca aveva tagliato per destabilizzare l’Ucraina, e discreditare il governo filo-occidentale della Tymoshenko agli occhi degli europei.

Matteo Cazzulani

Anche la Polonia scarica Janukovych

Posted in Ukraina by matteocazzulani on February 25, 2012

Nel corso del resoconto dei primi cento giorni di governo, il Primo Ministro polacco, Donald Tusk, denuncia il regresso politico in atto in Ucraina, a causa del quale tutti gli sforzi profusi da Varsavia per l’integrazione di Kyiv nell’Unione Europea sono stati vanificati. Il valore storico dell’evento, e la mancata risposta da parte del Presidente ucraino: sempre più lontano da Bruxelles, e dipendente dalla Russia sul piano energetico e politico

Anche il più fedele alleato ha tirato le orecchie al presidente ucraino. Nella giornata di giovedì, 23 Febbraio, il Primo Ministro polacco, Donald Tusk, ha riconosciuto che l’Ucraina, malgrado gli sforzi profusi dalla Polonia, ha perso le ultime chance di integrazione nell’Unione Europea a causa dell’ondata di repressione politica scatenata dal Capo di Stato, Viktor Janukovych, nei confronti di una decina di esponenti del campo arancione: tra cui la sua Leader, Julija Tymoshenko.

Nello specifico, Tusk, impegnato nel resoconto in Parlamento dei primi cento giorni di governo, ha evidenziato come la Polonia sia riuscita, nel secondo semestre del 2011, a condurre la Presidenza di turno dell’Unione Europea evitandone la rottura interna tra i Paesi aderenti aderenti alla moneta unica e quelli ancora fuori dalla zona euro. Inoltre, il Primo Ministro ha illustrato come, nel medesimo periodo, Varsavia si sia confermata leader nella messa a punto delle politiche UE nei confronti dei vicini orientali.

“L’Ucraina ha perso il suo tempo nel percorso di integrazione nell’Unione Europea – ha dichiarato il Primo Ministro polacco durante il suo expose al Sejm – e diffuso il sentore che l’ingresso di Kyiv nell’UE e oggi congelato. Questa situazione e direttamente provocata dalla situazione politica sulle Rive del Dnipro, che può essere definita come un vero e proprio regresso della democrazia”.

A rendere storiche le parole di Tusk e il particolare rapporto che la Polonia ha avuto con l’Ucraina dall’ottenimento dell’indipendenza dall’Unione Sovietica da parte di ambo gli Stati. Consapevole che senza l’amicizia e la fiducia di Kyiv, Varsavia – e l’Europa tutta con lei – sarebbe costretta ad una subalternità eterna alla Russia, i governi polacchi – salvo rare eccezioni – hanno sempre appoggiato le aspirazioni euro-atlantiche degli ucraini, e si sono presentati come veri e propri avvocati del Paese vicino in sede UE e NATO.

La Polonia ha saputo superare odi secolari dovuti ad una storia di guerre e divisioni, per prima ha riconosciuto l’Indipendenza dell’Ucraina nel 1991, e con essa ha sempre mantenuto aperto il dialogo anche con l’Amministrazione Kuchma, la quale, a causa di corruzione e repressione politica a carico di oppositori e giornalisti indipendenti, si e trovata isolata sul piano internazionale.

Dopo avere salutato con favore la realizzazione del processo democratico del 2004 passato alla storia come Rivoluzione Arancione, Varsavia ha ulteriormente stretto i rapporti con i governi ucraini, e ne ha appoggiato le domande di integrazione nell’Unione Europea e nella NATO: non senza evitare palesi scontri con gli Stati dell’Europa Occidentale – Germania e Francia in primis – riluttanti nei confronti dell’adesione dell’Ucraina alla comunità euro atlantica per non irritare la Russia.

Anche dopo la salita al potere di Janukovych, e gli arresti politici a carico di una decina di esponenti dell’Opposizione Democratica, la Polonia ha fatto di tutto affinché Bruxelles chiudesse un occhio sulla condotta del Presidente ucraino, e firmasse l’Accordo di Associazione UE-Ucraina: documento storico con cui l’Unione Europea avrebbe riconosciuto a Kyiv lo status di partner privilegiato oggi goduto da Norvegia, Svizzera e Islanda.

Tuttavia, il 19 Dicembre 2011, l’accanimento giudiziario nei confronti della Tymoshenko – a cui sono stati sentenziati due arresti sulla base di processi irregolari organizzati su prove incerte – ha portato l’UE a congelare il trattato: ufficialmente, per palese mancato rispetto da parte dell’Amministrazione Janukovych dei parametri di democrazia e libertà, la cui osservazione e condicio qua non per l’appartenenza alla comunità del Vecchio Continente.

Da parte del Presidente ucraino e mancata una risposta chiara e convincente. Nonostante i ripetuti inviti di UE, USA e NATO al rispetto delle regole della democrazia, Janukovych ha inasprito la repressione nei confronti dell’Opposizione Democratica e della stampa indipendente, esautorato il Parlamento di poteri per accrescere i propri, e, negli ultimi tempi, attuato un rimpasto di governo per rafforzare il suo diretto controllo sui settori nevralgici dello Stato: tra cui la politica finanziaria ed economica.

Isolato dall’Occidente, Janukovych ha difficoltà oggi a gestire i rapporti anche con la Russia: finora sua preziosa alleata. Alla ricerca di uno sconto sulle tariffe per il gas importato da Mosca, Janukovych dapprima ha concesso invano il prolungamento della permanenza della Flotta Russa del Mar Nero in Crimea fino al 2022, poi, nel Dicembre 2011, ha riaperto i negoziati per la revisione dei contratti con i russi.

Il caso ucraino e un problema europeo

Questi ultimi, tuttavia, hanno posto come condicio sine qua non per ogni ritocco al ribasso della bolletta la cessione dei gasdotti ucraini: una decisione da cui il Capo di Stato di Kyiv – proprio a causa dell’isolamento internazionale in cui si ritrova – difficilmente saprà sottrarsi: con ripercussioni gravi per tutta l’Europa. L’80% del gas russo inoltrato ai Paesi UE transita oggi per i gasdotti ucraini i quali, se controllati da Mosca, inasprirebbero il monopolio energetico del Cremlino sul Vecchio Continente.

A soffrire maggiormente dalla realizzazione di tale scenario sarebbe in primis l’Italia: con accordi già firmati, la Russia ha rilevato la gestione totale e parziale delle condutture di Slovenia, Austria e Slovacchia – oltre che di Germania e Francia – e qualora anche le infrastrutture energetiche dell’Ucraina cadessero nelle mani di Mosca, l’Italia sarebbe costretta a fare i conti con la dipendenza non solo da un unico fornitore di gas, ma anche da un solo proprietario dell’itinerario attraverso il quale l’oro blu e importato: un monopolio fortissimo, che strozzerebbe la già fragile economia del Belpaese.

Matteo Cazzulani

LA RUSSIA LASCIA L’UCRAINA A SECCO DI GAS

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 24, 2012

Come preannunciato poche ore prima, il monopolista russo, Gazprom, ha trasferito il trasporto di oro blu riservato agli acquirenti Occidentali dalla tratta ucraina a quelle settentrionali: attraverso la Bielorussia e il Mar Baltico. La mossa è dettata dalla volontà di Mosca di impadronirsi dei gasdotti di Kyiv per unificare le proprie condutture con quelle già pre-acquisite in Unione Europea, e, così, mantenere la propria egemonia energetica, e politica, sul Vecchio Continente, l’Italia in primo luogo. L’Europa Centrale si ribella alla politica energetico-imperiale del Cremlino

Francobollo celebrativo dell'Urenhoj-Pomary-Uzhhorod di epoca sovietica

“Il transito del gas russo diretto in Europa per il territorio ucraino sarà presto pari a zero”. E’ con queste parole che giovedì, 23 Febbraio, il rappresentante del monopolista statale energetico russo Gazprom, Segej Kuprijanov, ha lanciato l’ennesimo attacco mediatico all’Ucraina e, de facto, ha riaperto il contenzioso per il gas tra Mosca e Kyiv.

Secondo Kuprijanov, il totale sfruttamento dei programmi infrastrutturali di Gazprom – di quelli realizzati e di quelli ancora in cantiere – permetteranno alla Russia di escludere il territorio ucraino dall’itinerario attraverso il quale Mosca invia il proprio oro blu agli acquirenti europei.

Nello specifico, Kuprijanov ha fatto riferimento al Nordstream – gasdotto sul fondale del Mar Baltico costruito dai russi per rifornire direttamente la Germania e bypassare Paesi politicamente invisi al Cremlino, come Stati Baltici e Polonia – e al gasdotto Jamal-Europa, che collega il territorio russo a quello tedesco transitando per Polonia e Bielorussia.

Come successivamente rilevato dall’autorevole Interfax, il flusso di gas attraverso il Nordstream sarebbe stato già incrementato a spese di quello del Jamal-Europa che, secondo i piani esposti da Kuprijanov, è stato liberato per supplire alla rinuncia dello sfruttamento della conduttura Urengoj-Pomary-Uzhhorod che attraversa tutto il territorio ucraino, e dalla quale transita l’80% del gas che Gazprom vende agli acquirenti occidentali, tra cui l’Italia.

Oltre all’immediato isolamento energetico dell’Ucraina, la Russia ha alzato la posta anche per il futuro. Sempre giovedì, 23 Febbraio, il Presidente russo, Dmitrij Medvedev, ha ordinato al Capo di Gazprom, Aleksej Miller, di accelerare i tempi per la costruzione del Southstream: gasdotto sottomarino che, similmente al Nordstream, ha lo scopo di rifornire di gas russo direttamente l’Europa Occidentale, bypassando Stati ritenuti ostili al Cremlino come Romania, Moldova e, per l’appunto, l’Ucraina.

Pronta la risposta del Primo Ministro ucraino, Mykola Azarov, che dinnanzi alle minacce di isolamento energetico provenienti dalla Russia, si è detto comunque ottimista, e si è detto sicuro di trovare un’uscita dall’intricata situazione.

“I russi hanno la possibilità di sfruttare appieno il nostro sistema infrastrutturale energetico – ha dichiarato Azarov – se poi costoro hanno intenzione di buttare del danaro in progetti incerti che facciano pure”.

Secondo diversi analisti, Azarov – più o meno volutamente – non avrebbe colto la vera ragione della dura posizione presa dai russi. Con le minacce di isolamento energetico, accompagnate dalle accuse di appropriazione indebita del gas destinato agli acquirenti occidentali – che di recente Mosca ha mosso a Kyiv per mascherare il taglio delle forniture verso l’Europa: volutamente attuato per incrementare la pressione politica nei confronti degli ucraini – la Russia intende costringere l’Ucraina a cedere la gestione totale o parziale dei propri gasdotti.

Consapevole di non potere soddisfare la crescente domanda di gas da parte dell’Europa, ed intenzionata a mantenere la propria egemonia energetica sul Vecchio Continente, Mosca ha deciso di puntare sul controllo delle infrastrutture dell’UE, così da risultare determinante non solo nella compravendita di oro blu, ma anche nel suo trasporto attraverso l’Unione Europea.

Accordi in tale direzione sono già stati firmati con Germania, Francia, Slovenia, Austria e Slovacchia: per questo, il controllo dei gasdotti dell’Ucraina rappresenta per la Russia una mossa strategica, necessaria per unire le proprie condutture a quelle già controllate nei Paesi UE.

Tale scenario comporterebbe gravi conseguenze in primis per l’Italia, che, già fortemente dipendente dal gas della Russia, si troverebbe costretta a fare i conti con un monopolista che, otre alle materie prime, controlla anche l’intero tragitto dei gasdotti da Mosca al Tarvisio.

Secondo diversi politologi, le possibilità di resistenza dell’Ucraina sono minime. Alla ricerca di uno sconto sulla bolletta del gas, e sempre più isolato a livello internazionale – sopratutto dopo la repressione politica scatenata contro esponenti dell’Opposizione Democratica, tra cui la sua Leader, Julija Tymoshenko – il Presidente ucraino, Viktor Janukovych, sarà presto costretto a cedere al diktat di Mosca.

Peraltro, Julija Tymoshenko – nota in Occidente per avere guidato nel 2004 il processo democratico passato alla storia come Rivoluzione Arancione – è stata condannata al carcere proprio per avere firmato accordi energetici con la Russia con cui, pur accettando un tariffario oneroso, nel Gennaio 2009 ha garantito la sovranità dell’Ucraina sui propri gasdotti, e l’afflusso di gas in Unione Europea.

Polonia e Romania si ribellano alla Russia monopolista

Venuta meno l’Anima della rivoluzione arancione, altri sono gli enti, e i politici, che si oppongono alla politica imperiale del monopolista russo. Martedì, 22 Febbraio, il colosso energetico polacco PGNiG ha aperto un contenzioso con Gazprom presso l’Arbitrato Internazionale di Stoccolma per richiedere la revisione di un contratto che lega Mosca a Varsavia dal 1996 e che, ad oggi, obbliga la Polonia a onorare tariffe più care di quelle imposte al resto dei Paesi dell’Unione Europea.

Nello specifico, PGNiG ritiene ingiusti, e politicamente motivati, gli sconti concessi da Gazprom alle principali compagnie dei soli Stati alleati della Russia, come Francia, Germania, Slovenia e Grecia. Questi ribassi, de facto, rendono la bolletta dei Paesi dell’Europa Centrale paradossalmente più salata rispetto a quella applicata a soggetti geograficamente più lontani dal territorio russo.

A reagire è stata anche la Romania. Su iniziativa del Presidente in persona, Traian Basescu, è stata avviata una campagna di ricerca di giacimenti domestici che, sempre martedì, 22 Febbraio, si è conclusa con successo: le compagnie Exxonmobile e OMV Petrom hanno individuato un serbatoio di gas nel mezzo del Mar Nero che consentirebbe a Bucarest un’autonomia energetica di tre anni.

“Cerchiamo di superare l’inverno gelido contando sul gas che siamo obbligati per contratto ad acquistare dalla Russia – ha dichiarato Basescu, come riportato dall’autorevole Mediafax – ma la Romania deve trovare forme alternative per superare le emergenze climatiche”.

Matteo Cazzulani

GUERRA DEL GAS: MEZZA EUROPA CONTRO LA RUSSIA

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 23, 2012

Il colosso energetico polacco, PGNiG, denuncia il monopolista russo, Gazprom, all’Arbitrato di Stoccolma per le alte tariffe politiche applicate alla Polonia. Per la medesima ragione, la Lituania esclude Mosca dalla gestione dei propri gasdotti, mentre la Romania cerca nuovi giacimenti nel Mar Nero. Sempre più compromessa la posizione dell’Ucraina: isolata a livello internazionale e vittima degli appetiti imperiali del Cremlino

La carte dell'Europa Centro-Orientale presso la sede di Praga di Radio Liberty

E’ la prima volta che un’ente dell’Europa Centrale porta Gazprom in tribunale. Nella giornata di martedì, 21 Febbraio, la compagnia nazionale energetica polacca PGNiG ha aperto un contenzioso con il monopolista russo del gas presso l’Arbitrato Internazionale di Stoccolma. Se questo procedimento giudiziario si chiuderà con una condanna per Mosca, le casse di Varsavia conteranno sulla restituzione di un’ingente quantità di danaro.

Come riportato dall’autorevole Gazeta Wyborcza, Gazprom è stata denunciata per non avere voluto rinegoziare gli accordi per le forniture di gas con la Polonia stretti nel 1996. Alcune clausole del contratto prevedono la possibilità di rinnovare l’accordo qualora uno dei due firmatari ne evidenzi il bisogno, come verificatosi nell’autunno del 2010. Allora, PGNiG ha richiesto la revisione al ribasso delle tariffe che, ancora oggi, per la Polonia sono più care rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea.

Gazprom ha varato una politica di revisione dei contratti con i partner europei orientata ad un deciso ribasso delle tariffe compensato da un consistente prolungamento della loro durata. Tuttavia, ad essere coinvolte in questo piano sono state solo le principali compagnie dell’Europa occidentale – tra cui le tedesche E.On e Wingas, la slovacca SPP, la francese Suez-Gaz de France, e l’italiana Edison – ma non quelle dell’Europa Centrale, le quali, malgrado la maggiore vicinanza geografica, sono state costrette ad acquistare l’oro blu russo a prezzi paradossalmente superiori.

Secondo analisti e politologi, il comportamento del monopolista russo è dettato dalla precisa volontà di Mosca di mantenere la propria egemonia energetica, e quindi anche politica, sul Vecchio Continente. Divisi tra Paesi “premiati” con uno sconto sulle tariffe per la loro fedeltà – Germania e Francia – e Stati “puniti” per avere sempre contrastato l’imperialismo russo – Polonia, Lituania e Romania – i 27 dell’UE, gli uni contro gli altri, restano pur sempre fortemente dipendenti dal gas del Cremlino.

Oltre ai polacchi, a ribellarsi a tale situazione sono stati anche lituani e romeni. In Lituania, il governo ha applicato alla lettera la legislazione europea che prevede l’esclusione di monopolisti extraeuropei dalla gestione dei gasdotti del Vecchio Continente, e, così, ha escluso Gazprom dal mercato energetico nazionale.

Come ribadito a più riprese, tale misura è stata provocata non solo dall’approvazione del Terzo Pacchetto Energetico – legge di Bruxelles che, per l’appunto, istituisce la liberalizzazione dei gasdotti dell’Unione Europea senza la compartecipazione unica di enti registrati al di fuori dell’UE – ma anche dalle alte tariffe per l’acquisto di gas che Gazprom, differentemente che nei confronti degli altri Paesi Baltici, ha imposto a Vilna.

La Romania, invece, ha deciso di puntare sul maggiore sfruttamento dei propri giacimenti di gas naturale che, come confermato mercoledì, 22 Febbraio da un’indagine delle compagnie specializzate americana Exxonmobile e dell’austriaca OMV Petrom, nel Mar Nero possiede in ingenti quantità.

Come riportato dall’autorevole Mediafax, il Presidente romeno, Traian Basescu, ha illustrato la necessità per il suo Paese di puntare sulle proprie risorse naturali per superare situazioni di emergenza climatica senza dipendere dalle condizioni dell’unico fornitore russo. Dalla capienza di 84 Miliardi di metri cubi di gas, situato a 3 Mila metri di profondità, il giacimento consentirebbe a Bucarest l’autosufficienza per tre anni consecutivi.

Oggi l’Ucraina. Domani il resto dell’Europa

La scoperta energetica della Romania chiama in causa un’altro Paese che da tempo sta combattendo le ambizioni imperiali e monopoliste della Russia, ovvero l’Ucraina. Infatti, il giacimento di gas nel Mar Nero si trova ad ovest dell’Isola dei Serpenti: territorio in passato conteso in sede giudiziaria internazionale tra Kyiv e Bucarest, la quale, nel 2009, è risultata, alla fine, vincitrice.

L’Ucraina è legata a Gazprom da un contratto oneroso basato su tariffe livellate allo standard europeo che, ad oggi, obbligano Kyiv a pagare una bolletta ben più cara persino di quella imposta alla Polonia. La firma di tale accordo è figlia dell’ultima Guerra del Gas del Gennaio 2009, quando Mosca, per destabilizzare il governo arancione filo-europeo di Julija Tymoshenko, ha interrotto le forniture di oro blu verso il territorio ucraino, e, nel contempo, ha lasciato a secco l’intera Europa centro-meridionale.

Pur di rinnovare l’invio di gas per scaldare il suo Paese, e garantire all’Unione Europea un inverno al caldo, Julija Tymoshenko ha accettato gli alti prezzi imposti dal monopolista russo: una decisione pagata molto caro, dal momento in cui, caduto il suo governo, l’anima del processo democratico – che in Ucraina ha preso il nome di “Rivoluzione Arancione” – è stata condannata al carcere proprio per avere firmato accordi ritenuti sconvenienti.

Nell’inverno 2011, la Russia ha posto la cessione a Gazprom della gestione dei gasdotti ucraini come unica condizione per la revisione al ribasso delle tariffe per l’acquisto di gas, richieste a più riprese dall’attuale Presidente, Viktor Janukovych. Il Capo di Stato ucraino, isolato com’è a livello internazionale dopo il trattamento riservato alla Tymoshenko e a un’altra decina di esponenti dell’Opposizione Democratica – parimenti arrestati per ragioni politiche – con tutta probabilità sarà costretto ad accettare il diktat di Mosca.

Tale scenario, tutt’altro che improbabile, comprometterebbe l’indipendenza energetica dell’Unione Europea e, con essa, la sicurezza nazionale di molti dei suoi Paesi membri: la gestione dei gasdotti ucraini permetterebbe a Mosca il collegamento diretto della propria rete infrastrutturale con quella già parzialmente posseduta grazie alla firma di specifici accordi con i Paesi interessati, di Germania, Francia, Austria, Slovenia, e Slovacchia.

Il controllo diretto delle infrastrutture attraverso le quali l’oro blu russo è importato in Europa, sommato all’egemonia di Gazprom nella compravendita del gas nel Vecchio Continente, neutralizzerebbe ogni tentativo di politica energetica indipendente approntato, con fatica, dalla Commissione Barroso, e renderebbe Bruxelles letteralmente vassalla dell’impero energetico del Cremlino monopolista.

Matteo Cazzulani

GUERRA DEL GAS: MEZZA EUROPA CONTRO LA RUSSIA

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 23, 2012

Il colosso energetico polacco, PGNiG, denuncia il monopolista russo, Gazprom, all’Arbitrato di Stoccolma per le alte tariffe politiche applicate alla Polonia. Per la medesima ragione, la Lituania esclude Mosca dalla gestione dei propri gasdotti, mentre la Romania cerca nuovi giacimenti nel Mar Nero. Sempre più compromessa la posizione dell’Ucraina: isolata a livello internazionale e vittima degli appetiti imperiali del Cremlino

La carte dell'Europa Centro-Orientale presso la sede di Praga di Radio Liberty

E’ la prima volta che un’ente dell’Europa Centrale porta Gazprom in tribunale. Nella giornata di martedì, 21 Febbraio, la compagnia nazionale energetica polacca PGNiG ha aperto un contenzioso con il monopolista russo del gas presso l’Arbitrato Internazionale di Stoccolma. Se questo procedimento giudiziario si chiuderà con una condanna per Mosca, le casse di Varsavia conteranno sulla restituzione di un’ingente quantità di danaro.

Come riportato dall’autorevole Gazeta Wyborcza, Gazprom è stata denunciata per non avere voluto rinegoziare gli accordi per le forniture di gas con la Polonia stretti nel 1996. Alcune clausole del contratto prevedono la possibilità di rinnovare l’accordo qualora uno dei due firmatari ne evidenzi il bisogno, come verificatosi nell’autunno del 2010. Allora, PGNiG ha richiesto la revisione al ribasso delle tariffe che, ancora oggi, per la Polonia sono più care rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea.

Gazprom ha varato una politica di revisione dei contratti con i partner europei orientata ad un deciso ribasso delle tariffe compensato da un consistente prolungamento della loro durata. Tuttavia, ad essere coinvolte in questo piano sono state solo le principali compagnie dell’Europa occidentale – tra cui le tedesche E.On e Wingas, la slovacca SPP, la francese Suez-Gaz de France, e l’italiana Edison – ma non quelle dell’Europa Centrale, le quali, malgrado la maggiore vicinanza geografica, sono state costrette ad acquistare l’oro blu russo a prezzi paradossalmente superiori.

Secondo analisti e politologi, il comportamento del monopolista russo è dettato dalla precisa volontà di Mosca di mantenere la propria egemonia energetica, e quindi anche politica, sul Vecchio Continente. Divisi tra Paesi “premiati” con uno sconto sulle tariffe per la loro fedeltà – Germania e Francia – e Stati “puniti” per avere sempre contrastato l’imperialismo russo – Polonia, Lituania e Romania – i 27 dell’UE, gli uni contro gli altri, restano pur sempre fortemente dipendenti dal gas del Cremlino.

Oltre ai polacchi, a ribellarsi a tale situazione sono stati anche lituani e romeni. In Lituania, il governo ha applicato alla lettera la legislazione europea che prevede l’esclusione di monopolisti extraeuropei dalla gestione dei gasdotti del Vecchio Continente, e, così, ha escluso Gazprom dal mercato energetico nazionale.

Come ribadito a più riprese, tale misura è stata provocata non solo dall’approvazione del Terzo Pacchetto Energetico – legge di Bruxelles che, per l’appunto, istituisce la liberalizzazione dei gasdotti dell’Unione Europea senza la compartecipazione unica di enti registrati al di fuori dell’UE – ma anche dalle alte tariffe per l’acquisto di gas che Gazprom, differentemente che nei confronti degli altri Paesi Baltici, ha imposto a Vilna.

La Romania, invece, ha deciso di puntare sul maggiore sfruttamento dei propri giacimenti di gas naturale che, come confermato mercoledì, 22 Febbraio da un’indagine delle compagnie specializzate americana Exxonmobile e dell’austriaca OMV Petrom, nel Mar Nero possiede in ingenti quantità.

Come riportato dall’autorevole Mediafax, il Presidente romeno, Traian Basescu, ha illustrato la necessità per il suo Paese di puntare sulle proprie risorse naturali per superare situazioni di emergenza climatica senza dipendere dalle condizioni dell’unico fornitore russo. Dalla capienza di 84 Miliardi di metri cubi di gas, situato a 3 Mila metri di profondità, il giacimento consentirebbe a Bucarest l’autosufficienza per tre anni consecutivi.

Oggi l’Ucraina. Domani il resto dell’Europa

La scoperta energetica della Romania chiama in causa un’altro Paese che da tempo sta combattendo le ambizioni imperiali e monopoliste della Russia, ovvero l’Ucraina. Infatti, il giacimento di gas nel Mar Nero si trova ad ovest dell’Isola dei Serpenti: territorio in passato conteso in sede giudiziaria internazionale tra Kyiv e Bucarest, la quale, nel 2009, è risultata, alla fine, vincitrice.

L’Ucraina è legata a Gazprom da un contratto oneroso basato su tariffe livellate allo standard europeo che, ad oggi, obbligano Kyiv a pagare una bolletta ben più cara persino di quella imposta alla Polonia. La firma di tale accordo è figlia dell’ultima Guerra del Gas del Gennaio 2009, quando Mosca, per destabilizzare il governo arancione filo-europeo di Julija Tymoshenko, ha interrotto le forniture di oro blu verso il territorio ucraino, e, nel contempo, ha lasciato a secco l’intera Europa centro-meridionale.

Pur di rinnovare l’invio di gas per scaldare il suo Paese, e garantire all’Unione Europea un inverno al caldo, Julija Tymoshenko ha accettato gli alti prezzi imposti dal monopolista russo: una decisione pagata molto caro, dal momento in cui, caduto il suo governo, l’anima del processo democratico – che in Ucraina ha preso il nome di “Rivoluzione Arancione” – è stata condannata al carcere proprio per avere firmato accordi ritenuti sconvenienti.

Nell’inverno 2011, la Russia ha posto la cessione a Gazprom della gestione dei gasdotti ucraini come unica condizione per la revisione al ribasso delle tariffe per l’acquisto di gas, richieste a più riprese dall’attuale Presidente, Viktor Janukovych. Il Capo di Stato ucraino, isolato com’è a livello internazionale dopo il trattamento riservato alla Tymoshenko e a un’altra decina di esponenti dell’Opposizione Democratica – parimenti arrestati per ragioni politiche – con tutta probabilità sarà costretto ad accettare il diktat di Mosca.

Tale scenario, tutt’altro che improbabile, comprometterebbe l’indipendenza energetica dell’Unione Europea e, con essa, la sicurezza nazionale di molti dei suoi Paesi membri: la gestione dei gasdotti ucraini permetterebbe a Mosca il collegamento diretto della propria rete infrastrutturale con quella già parzialmente posseduta grazie alla firma di specifici accordi con i Paesi interessati, di Germania, Francia, Austria, Slovenia, e Slovacchia.

Il controllo diretto delle infrastrutture attraverso le quali l’oro blu russo è importato in Europa, sommato all’egemonia di Gazprom nella compravendita del gas nel Vecchio Continente, neutralizzerebbe ogni tentativo di politica energetica indipendente approntato, con fatica, dalla Commissione Barroso, e renderebbe Bruxelles letteralmente vassalla dell’impero energetico del Cremlino monopolista.

Matteo Cazzulani

GUERRA DEL GAS: L’ITALIA FUORI DAL PIANO DI INDIPENDENZA ENERGETICA UE

Posted in Guerra del gas by matteocazzulani on February 22, 2012

Il consorzio Shakh Deniz esclude il gasdotto sostenuto dal governo italiano dall’itinerario di cui l’Azerbajdzhan si avvarrà per l’invio dell’oro blu centro-asiatico in Europa. L’isolamento energetico di Roma rende il Belpaese sempre più dipendente dalla Russia monopolista, e mette a serio repentaglio il nostro interesse nazionale

Il tragitto della TAP e del Nabucco

Se mai il gas dal centro Asia sarà trasportato in Italia, a gestire il traffico saranno svizzeri, norvegesi e tedeschi. Questa è la decisione presa dal consorzio incaricato della gestione del giacimento Shakh Deniz: una delle riserve di gas naturale più ricca al Mondo, per questo individuata dall’Unione Europea come serbatoio da cui attingere oro blu per diminuire la dipendenza dalla Russia.

Come riportato dall’autorevole Trend, il gasdotto TAP – Trans Adriatic Pipeline, compartecipato dalle compagnie elvetica EGL, dalla norvegese STATOIL, e dalla tedesca E.On – è stato designato come unica via su cui il consorzio azero intende puntare per il trasporto del proprio gas in Europa meridionale.

Questa scelta rappresenta una sconfitta per l’Italia e per la Grecia, i cui governi hanno attivamente sostenuto l’Interconnettore Turchia-Grecia-Italia – ITGI: candidato alternativo alla TAP, compartecipato dalle compagnie turca BOTAS, greca DESFA, ed italiana Edison.

Maggiori dettagli sul perché di tale scelta non sono stati resi noti, ma alcuni esperti hanno evidenziato come il consorzio azero abbia ritenuto più sicuro un gasdotto prevalentemente terrestre, con capacità di trasporto superiore rispetto ad una conduttura interamente sottomarina: a discapito delle pressioni politiche di Roma e Atene.

Infatti, la TAP è progettata per il trasporto del gas dalla Grecia a Brindisi passando per l’Albania, mentre l’ITGI collega il Mare Egeo allo Ionio fino ad Otranto.

Tuttavia, la presenza italiana nella corsa all’approvvigionamento diretto al Centro-Asia potrebbe subire ulteriori limitazioni, in quanto la decisione definitiva del consorzio Shakh Deniz riguarderà la scelta tra un “tragitto meridionale” – rappresentato dalla TAP – ed uno “settentrionale” servito dal gasdotto Nabucco: infrastruttura compartecipata dalle compagnie bulgara Bulgargaz, romena Transgaz, ungherese MOL ed austriaca OMV.

Se, come probabile, gli azeri punteranno sul secondo progetto, l’oro blu importato dal Bacino del Caspio sarà convogliato dalla Turchia al terminale di Baumgarten, in Austria, attraverso la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria: il nostro Paese perderebbe così una preziosa opportunità per diversificare le proprie forniture di gas, per le quali oggi l’Italia è fortemente legata alla Russia.

L’importanza per l’Europa dell’Azerbajdzhan e delle sue risorse naturali è nata dalla politica energetica della Commissione Barroso, che, per scalfire il monopolio di Mosca nella compravendita di gas nel Vecchio Continente, ha stretto accordi con Baku per l’importazione di oro blu centroasiatico.

Per il trasporto di questo carburante in Europa dal Gasdotto Transanatolico – TANAP: infrastruttura deputata al trasporto del gas dal Mar Caspio allo stretto del Bosforo, compartecipata dalle compagnie azera SOCAR, turca BOTAS, olandese Shell e britannica British Petroleum, e sostenuta dai governi di Baku e Ankara – è scoppiata una vera e propria gara tra diverse condutture: espressioni di differenti interessi, tra i quali il consorzio Shakh Deniz è stato costretto ad una scelta lunga ed accurata.

L’Europa litiga, la Russia vince

L’assenza di una proposta unica europea, e il proliferare dei gasdotti, rischia però di rallentare irreversibilmente l’inizio dell’invio di gas centro-asiatico in Europa, e favorire la politica energetica della Russia, la quale, intenzionata com’è a mantenere la propria egemonia sull’Unione Europea, sta percorrendo con successo due diverse strade.

Per affossare il patto tra Bruxelles e Baku, il monopolista statale russo, Gazprom, ha progettato la costruzione del Southstream: gasdotto sottomarino ideato per trasportare il proprio gas dalla Russia meridionale in Europa attraverso il fondale del Mar Nero e, successivamente, due tronchi che, dalla Grecia, serviranno verso sud la Puglia, e verso nord i Balcani e la Pianura Padana.

Compartecipato da Gazprom, dal colosso italiano ENI, dalle compagnie tedesca, francese e greca Wintershall, EDF e DEPA, e da quelle nazionali di Macedonia, Serbia, Slovenia e Montenegro, il Southstream ricopre un tragitto speculare a quello progettato dalla Commissione Barroso per importare il gas dall’Azerbajdzhan.

Inoltre, consapevole di non essere in grado di soddisfare la richiesta di gas – sempre più alta da parte degli acquirenti Occidentali – la Russia ha puntato sull’acquisizione totale o parziale dei gasdotti dei Paesi dell’Unione Europea, e in tale direzione ha già raggiunto accordi con Germania, Francia, Austria, Slovenia e Slovacchia.

La quasi certa prossima cessione a Mosca del sistema infrastrutturale energetico dell’Ucraina – a cui Kyiv sarà presto costretta in cambio di uno sconto sulle tariffe per il gas – permetterà al Cremlino il controllo diretto dei gasdotti tramite i quali l’Italia importa l’oro blu necessario per sostenere la propria economia.

Per questa ragione, la diminuzione dell’importanza del BelPaese nella politica della Commissione Barroso, e, più in generale, il fallimento della strategia di Bruxelles e Baku, da cui dipende la realizzazione degli obiettivi della Russia, costituisce un serio colpo all’indipendenza energetica italiana, e, in misura ben maggiore rispetto alla crisi dell’Euro, mette a serio repentaglio la nostra sicurezza nazionale.

Matteo Cazzulani

VLADIMIR PUTIN PROMETTE IL RIARMO DELLA RUSSIA

Posted in Russia by matteocazzulani on February 21, 2012

Nel sesto articolo dedicato al programma elettorale del Primo Ministro russo per le prossime elezioni presidenziali pubblicato sulla stampa locale, il principale candidato promette maggiori spese per l’acquisto di armamenti in chiave anti-Occidentale. Le recenti provocazioni nei confronti dell’Occidente e le precedenti promesse elettorali di una Federazione Russia che appare sempre più imperiale e monopolista

Il primo ministro russo, Vladimir Putin

400 missili balistici intercontinentali, 28 mezzi terrestri, 50 navali, 100 apparati cosmici, 600 aerei, 28 batterie di missili di categoria S-400, e 10 di categoria Iskander-M. Queste sono le cifre che il Primo Ministro russo, Vladimir Putin, ha promesso per il rafforzamento militare della Russia in caso di vittoria alle prossime elezioni presidenziali, la quale, stando alla caratura degli avversari, e alla mancata ammissione di candidati seriamente di opposizione, appare sempre più certa.

Nell’articolo “Essere forti – garanzie di sicurezza nazionale per la Russia”, pubblicato sul giornale filo-governativo Rosijskaja Gazeta, Putin ha evidenziato come “la crisi della finanza internazionale abbia rinvigorito la tentazione di risolvere i propri problemi a costo degli altri” e, per questa ragione, Mosca non possa trascurare la sua effettiva debolezza in campo militare.

Secondo il Primo Ministro, già dal prossimo anno le uscite per l’esercito incrementeranno fino a 760 miliardi di dollari: il doppio di quanto stanziato finora a bilancio. A compensare tali uscite, sempre secondo l’articolo di Putin, sarà la professionalizzazione delle Forze Armate, con un taglio progressivo dei soldati assunti a contratto.

Citando le parole di Putin, “la manovra non è da leggere come una militarizzazione del bilancio, bensì come una misura necessaria per mantenere il ruolo da protagonista della Russia nel Mondo, modernizzare il Paese, ed ivi costruire la democrazia”. Per questa ragione, la maggior parte degli armamenti sarà prodotta dall’industria russa, mentre sul mercato estero saranno acquistate solo armi ad alta tecnologia.

Alla pars construens, Putin ha aggiunto l’identificazione della principale minaccia per la Russia nello Scudo Spaziale USA in Europa: un progetto che, tuttavia, ha perso la sua connotazione originale, e che oggi è ridotto ad una struttura innocua: incapace di aggredire alcun bersaglio.

Concepito dall’Amministrazione Bush per preservare l’Occidente da minacce balistiche provenienti da est, il sistema di difesa anti-missilistico ha previsto l’installazione di una postazione radar in Repubblica Ceca e il dislocamento di una batteria di missili Patriot in Polonia.

Nel 2009, la neo-eletta Presidenza Obama ha revocato gli accordi già firmati con i due Paesi europei, contestualizzato lo Scudo Spaziale nell’ambito della NATO, e varato una nuova versione più soft con postazione radar in Romania e intercettori, privi di testata, posizionati a rotazione in Romania, Polonia e Turchia.

Secondo alcuni esperti russi, le promesse militari di Putin sono difficili da realizzare a causa delle troppo esose somme preventivate. Inoltre, già in passato simili proclami sono stati illustrati a gran voce dallo stesso Putin, senza che ad essi sia seguita un’effettiva attuazione. Tuttavia, occorre sottolineare come di recente si siano verificati casi che certificano la rinata aggressività da parte di Mosca nei confronti dell’Occidente.

Il 23 Novembre, in risposta al varo della versione morbida dello scudo spaziale NATO, il Presidente attualmente in carica, Dmitrij Medvedev, ha proposto la speculare installazione di un radar e il dislocamento di intercettori Iskander – dotati di capacità aggressiva – nell’enclave di Kaliningrad: tra la Polonia e la Lituania.

Il 18 Ottobre 2011, veivoli dell’esercito russo hanno sorvolato lo spazio aereo al confine con Lettonia, Estonia e Finlandia, dove non sono presenti né apparati missilistici, né insediamenti dell’esercito: secondo il codice militare, la manovra è una pura dimostrazione di forza, al punto da aver costretto i caccia dell’Alleanza Atlantica ad innalzarsi in volo per scortare gli aerei russi.

Stabilità, lotta all’immigrazione, maggiore autonomie locali, e sostegno alla procreazione

Quello pubblicato sulla Rosijskaja Gazeta non è che il sesto degli articoli con cui Putin ha esposto le principali linee-guida del suo programma elettorale. Il 16 Gennaio, sulle colonne dell’Izvestija, il Primo Ministro ha sottolineato i progressi raggiunti dalla Russia sotto il suo premierato e le sue precedenti presidenze – dal 2000 al 2008 – ed ha evidenziato come per la Russia sia necessario il raggiungimento della stabilità economica e politica.

Il 23 Gennaio, sulle colonne della Nezavisimaja Gazeta, Putin ha esposto la sua politica nazionale, basata sulla realizzazione di “un blocco multietnico omogeneo cementato attorno al nucleo russo”. Nell’ambito di quello che è stato definito “patriottismo civico”, il Primo Ministro ha preventivato regole più severe per gli immigrati – con tanto di esame obbligatorio di lingua russa – e punizioni per i clandestini.

Il 30 Gennaio, nelle pagine del giornale Vedomosti, è stata la volta della politica economica, tra le cui priorità Putin ha individuato la sfera energetica, spaziale, chimica, nano tecnologica, farmaceutica, chimica e l’aviazione, assieme alla necessità di una lotta alla corruzione e di misure contro il lusso e le disparità.

Il 6 Febbraio, con un articolo pubblicato sul Kommersant”, Putin ha promesso una riforma istituzionale, con la concessione di maggiore autonomia fiscale e l’introduzione dell’elezione diretta dei Presidenti dei singoli Stati della Federazione Russa.

Infine, il 13 Febbraio, sulla Komsomol’skaja Pravda, Putin ha affrontato l’ambito sociale, in cui ha rigettato l’aumento dell’età previdenziale, sottolineato la necessità di valorizzare una “aristocrazia operaia” altamente qualificata, e promesso incentivi alle famiglie con più di tre figli.

Matteo Cazzulani