Tusk: dopo la nomina in Europa, la Polonia è alla ricerca di un nuovo Premier
Con l’assunzione della Presidenza del Consiglio Europeo da parte del Premier polacco si apre la corsa alla successione sia alla guida del Governo, che alla Segreteria della cristiano democratica Piattaforma Civica. Il Presidente della Camera Bassa del Parlamento polacco, Ewa Kopacz, e il Ministro della Difesa Nazionale, Mateusz Siemoniak, i principali favoriti.
Una nomina storica per la Polonia, che dopo 15 anni di libertà ha visto finalmente riconosciuto il ruolo da protagonista che le dovrebbe già da tempo spettare in Unione Europea, ed anche per l’Europa, che grazie alla guida del Consiglio Europeo da parte di un polacco appare oggi meno ‘carolingia’ e sicuramente più moderna e attenta ai suoi membri della parte centro-orientale del Continente, finora troppo colpevolmente trascurati.
La nomina del Premier polacco, Donald Tusk, alla guida del Consiglio Europeo ha rappresentato uno dei rari casi in cui l’UE ha saputo prendere una decisione in maniera unanime e decisa: a favore della guida del Consiglio da parte del Premier polacco si sono infatti espressi sia il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, sia il Primo Ministro britannico, David Cameron, che il Presidente-Eletto della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker.
La guida del Consiglio Europeo a Tusk è anche un meritato riconoscimento ad un ex-giovane esponente del movimento democratico polacco dell’era di Solidarnosc nonché all’unico Premier della Polonia che ha saputo essere riconfermato alla guida del Governo dal voto popolare, grazie a sette anni di buona amministrazione del Paese.
Oltre ad avere mantenuto in Polonia un buon tasso di crescita e sviluppo nonostante la concomitante forte crisi che ha colpito il resto dell’Europa, Tusk ha anche il merito di aver saputo ‘europeizzare’ la Polonia stringendo buone relazioni con la Germania senza sacrificare nel contempo lo storico impegno dei Governi polacchi a sostegno della democrazia e della libertà in Ucraina e nel resto nell’Europa Orientale.
Oltre al prestigio per la Polonia, la dipartita del Premier in Europa lascia un clima di incertezza nello scenario politico polacco, nel quale due importanti posizioni dovranno essere riempite a breve: la guida dell’Esecutivo e il ruolo di Segretario della cristiano democratica Piattaforma Civica -PO, la forza politica fondata da Tusk che oggi governa in coalizione con il Partito contadini PSL.
L’ipotesi più probabile per la successione a Tusk al premierato è quella di Ewa Kopacz: Presidente della Camera Bassa del Parlamento polacco, nota non solo per essere una personalità estremamente fedele al Premier, ma anche personale amica del neo-nominato Presidente del Consiglio Europeo.
Il passaggio del premierato alla Kopacz darebbe anche la possibilità al Governo di continuare sia con il programma di riforma del settore previdenziale, che con gli altri punti dell’agenda di Governo che Tusk, pochi giorni prima della sua nomina europea, ha esposto in Parlamento per rilanciare l’attività dell’esecutivo dell’esecutivo per il nuovo anno legislativo.
Tuttavia, alla Kopacz potrebbe essere preferito il Ministro della Difesa Nazionale, Mateusz Siemoniak. Questa decisione porterebbe alla guida del Governo una personalità più tecnica rispetto alla Kopacz che, così, assieme agli altri vertici di Partito sarebbe libera di preparare con più calma la candidatura a Premier per le prossime Elezioni Parlamentari.
La nomina del giovane Siemoniak a Premier potrebbe tuttavia essere dettata anche da contingenze esterne, quali la crescente minaccia militare della Russia del Presidente, Vladimir Putin, che, secondo fonti di intelligence, dopo l’Ucraina potrebbe presto aprire un fronte anche nei Paesi Baltici e in Polonia.
Sulla base di quest’ultima motivazione prende quota anche la nomina a Premier di Radoslaw Sikorski: Ministro degli Esteri, dotato di una lunga e rispettabile esperienza, che ha saputo dapprima co-realizzare la sistemazione delle relazioni tra Polonia e Germania dopo gli anni ‘bui’ dei Governi del Partito conservatore Diritto e Giustizia -PiS.
Lo scorso Febbraio, Sikorski ha poi saputo dare un forte contributo sia all’abbattimento del regime dittatoriale di Viktor Yanukovych in Ucraina, che alla firma da parte di Georgia e Moldova -oltre che dell’Ucraina- dell’Accordo di Associazione con l’UE.
Oltre alla carica di Premier, resta aperta la corsa alla successione a Tusk per quanto riguarda anche la guida della PO, che è legata a stretto filo con la corsa al premierato.
Qualora la Kopacz non dovesse ottenere la guida del Governo, per il Presidente della Camera Bassa del Parlamento si aprirebbe la possibilità di guidare il Partito: una carica alla quale aspirano anche l’attuale Vice-Premier, Elzbieta Bienkowska, e il leader della corrente alternativa a Tusk interna alla PO, Grzegorz Schetyna.
La guida della PO rappresenta un nodo fondamentale per garantire alla forza di Governo cristiano democratica il mantenimento della maggioranza in Parlamento, messa in seria discussione dal crollo di consensi registrato nei recenti sondaggi.
Secondo il Professor Norbert Maliszewski dell’Università di Varsavia, la decisione di Tusk di accettare la guida del Consiglio Europeo è motivata dalla necessità di dare una spinta propulsiva all’attività di Governo della PO. Una scelta, quella di Tusk, che sarebbe simile per logica alla decisione di Matteo Renzi di diventare Premier a pochissimi mesi dalla sua elezione alla guida del Partito Democratico.
Secondo l’opinionista Renata Grochal di Gazeta Wyborcza, la decisione di Tusk di andare in Europa è invece destinata ad indebolire la PO che, priva del suo carismatico leader, sarebbe così destinata a consegnare le redini del Paese al PiS del conservatore Jarosław Kaczynski: ex-Premier famoso per la sua retorica euroscettica ed anti-tedesca.
In UE scoppia il ‘caso Vysehrad’
A parte i dilemmi di Governo e di Partito, Tusk, che ha dichiarato la necessità di adottare misure risolute per incrementare la sicurezza nazionale dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale, si troverà fin da subito a dovere risolvere un problema ben più grande legato alla posizione contraria all’inasprimento delle sanzioni UE nei confronti della Russia espressa dai suoi più strenui sostenitori alla nomina a Presidente del Consiglio Europeo: Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria.
Come riportato dal Financial Times, questi tre Paesi dell’Europa Centrale -che assieme alla Polonia fanno parte del Quartetto di Vysehrad- hanno invitato l’Europa a non adottare misure restrittive nei confronti di Putin nonostante la Russia, come oramai ampiamente confermato e documentato, ed in piena violazione del Diritto Internazionale, abbia invaso militarmente l’Ucraina.
Nello specifico, il Premier ungherese, Viktor Orban -che è legato alla Russia da interessi di carattere privato e bilaterale- si è detto pronto a capeggiare una coalizione pro-Putin all’interno dell’UE alla quale devono aderire tutti quei Paesi dell’Europa che non condividono l’inasprimento delle relazioni con la Russia.
L’invito di Orban è stato raccolto dal Premier slovacco, Robert Fico, che, come riportato dalla Reuters, ha minacciato l’uso del diritto di veto qualora le sanzioni dovessero rivelarsi dannose per la Slovacchia.
Peggiore è stata la posizione del Presidente ceco, Milos Zeman, che ha pubblicamente affermato che il processo democratico in Ucraina è stato realizzato non solo dai democratici ucraini, ma anche da nazionalisti di estrema destra.
Quella dei ‘fascisti in Ucraina’ è una menzogna, fabbricata dalla propaganda del Cremlino per discreditare il movimento democratico in Ucraina, a cui, tuttavia, il Capo di Stato della Repubblica Ceca ha creduto.
“Con l’invasione militare dell’Ucraina, che sta per ratificare l’Accordi di Associazione con l’UE, Putin ha inteso dichiarare guerra all’Europa, e non a Kyiv” è stato il commento del Presidente lituano, Dalija Grybauskaite, in risposta alla posizione dei tre Capi di Stato e di Governo filorussi dell’Europa Centrale.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro-Orientale
Twitter @MatteoCazzulani
La Russia invade l’Ucraina: il Paese compatto attorno al Presidente Poroshenko
Il Capo dello Stato ucraino convoca il Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa per reagire all’attacco dei russi, che, dopo avere conquistato la città di Novoazovsk, si apprestano a prendere il porto di Mariupol per aprire un corridoio fino alla Crimea. Solo mezza Europa si attiva a sostegno di Kyiv, mentre dall’altra metà arrivano solo vuote dichiarazioni di preoccupazione
Niente viaggio in Turchia: occorre restare in Patria perché il posto del Presidente ucraino è a Kyiv, sopratutto quando l’Ucraina è oramai palesemente sotto attacco. Questa è la motivazione che, giovedì, 28 Agosto, ha spinto il Presidente ucraino, Petro Poroshenko, ad annullare la visita presso il neoeletto Capo di Stato turco, Tajip Erdogan, e convocare d’urgenza il Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa per affrontare l’invasione attuata dalla Russia.
Nella notte tra mercoledì 27 e giovedì 28 Agosto, l’esercito russo, già presente nelle Oblast di Donetsk e Luhansk, ha fatto irruzione nel territorio dell’Ucraina sud-orientale arrivando, in poche ore, a prendere il controllo di Novoazovsk: città di importanza cruciale distante pochi chilometri dal porto ucraino di Mariupol.
Come dichiarato dall’autorevole New York Times, con la presa di Mariupol, la Russia intende aprire un corridoio di occupazione tra le regioni occupate dell’est dell’Ucraina e la Crimea: penisola ucraina annessa militarmente dall’esercito russo lo scorso Marzo.
A conferma dell’impegno militare russo è la testimonianza della NATO, che, a poche ore dall’invasione, ha pubblicato foto satellitari che dimostrano la presenza di più di mille soldati della Russia sia nell’est dell’Ucraina, che nella zona occupata durante l’invasione-lampo della scorsa notte.
“I soldati russi sono penetrati in Ucraina dalla frontiera non controllata dalle nostre forze militari. Il gesto è stato effettuato per dare aiuto ai terroristi pro-russi che già occupano il Donbas” ha dichiarato Poroshenko durante la seduta del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa, durante la quale ha sottolineato che la situazione nell’est del Paese, seppur complicata, è ancora sotto controllo.
Oltre a quella di Poroshenko, forte è stata anche la reazione dell’ex-Premier Yulia Tymoshenko, che, da capo del Partito di orientamento social-popolare-democratico Batkivshchyna, ha invitato all’unità con il Presidente ad un giorno esatto dalla sfida elettorale lanciata dal sua forza politica proprio al Blocco Poroshenko: coalizione di ispirazione centrista formatasi per sostenere il programma del Capo dello Stato nelle Elezioni Parlamentari ucraine.
Un invito all’azione, e non alle parole, è invece provenuto dal Premier ucraino, Arseniy Yatsenyuk, che ha chiesto all’Occidente di congelare i fondi e i conti bancari russi in tutte le banche dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America, ed ha ritenuto necessaria la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
L’invito di Yatsenyuk è stato colto positivamente dalla Lituania, che, avvalendosi del seggio temporaneo presso le Nazioni Unite, ha ottenuto una riunione straordinaria dell’Assemblea ONU dedicata alla crisi in Ucraina.
Pronta è stata la risposta anche della Lettonia, che ha riconosciuto l’esistenza della guerra tra Russia ed Ucraina, e dell’Estonia, che ha invitato la Comunità Internazionale a riconoscere Mosca come parte del conflitto ucraino, nonostante finora il Presidente russo, Vladimir Putin, abbia negato il coinvolgimento russo nella destabilizzazione armata di Kyiv.
“Quando qualcosa che sembra una papera emette un verso da papera allora è una papera per davvero. L’invasione russa in Ucraina è la crisi più grave per l’Europa dal dopoguerra ad oggi” ha commentato Radoslaw Sikorski, il Ministro degli Esteri della Polonia: Paese che ha ventilato l’ipotesi che la NATO possa armare l’esercito ucraino.
Abbastanza forti sono state le dichiarazioni del Presidente francese, Francois Hollande, che ha ritenuto pericolosa la presenza di soldati russi in territorio ucraino.
La Merkel nel mirino per i suoi interessi con Putin
Tra i protagonisti della politica internazionale a non essere ancora pervenuti ci sono in primis le Autorità dell’Unione Europea e il Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, dai quali l’Ucraina e i Paesi dell’Europa Centro-Orientale attendono una presa di posizione forte e determinata in sostegno dell’integrità territoriale di Kyiv.
A rendere complicata la situazione per gli ucraini sono sopratutto le dichiarazioni del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ha ventilato l’ipotesi di inasprire le sanzioni alla Russia in reazione all’invasione dell’Ucraina sud-orientale.
Proprio l’atteggiamento della Merkel, a cui l’UE ha de facto appaltato la gestione della crisi ucraina -commettendo un errore geopolitico difficile da controbilanciare- ha provocato frustrazione tra gli ucraini.
Come riportato da diversi esperti, la Merkel avrebbe infatti garantito a Poroshenko solo un aiuto politico, ma non un appoggio militare: un fatto che è stato visto da Putin come il via libera definitivo per avviare l’occupazione dell’Ucraina.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro-Orientale
Twitter @MatteoCazzulani
Crisi ucraina: la NATO divisa sullo “scudo spaziale”
Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il Premier ungherese, Victor Orban, guidano una colazione interna all’Alleanza Atlantica di Paesi contrari al sistema di difesa missilistico in Europa Centro-Orientale per non compromettere gli interessi economici con il Presidente russo, Vladimir Putin. I Paesi favorevoli al progetto preoccupati per la loro sicurezza nazionale in seguito all’aggressione della Russia all’Ucraina
Lei con la paura di non irritare il Presidente russo, Vladimir Putin, lui pronto a sacrificare la sicurezza collettiva dell’Europa per quattro petrorubli. Nella giornata di lunedì, 25 Agosto, la Germania ha dichiarato la propria contrarietà alla realizzazione del sistema di difesa missilistico concepito dalla NATO in Europa Centro-Orientale.
La decisione del Governo tedesco, che come riportato dall’autorevole Spiegel è stata emanata dall’Ufficio Stampa del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, mira a non provocare l’irritazione della Russia, che considera il progetto di difesa dell’Alleanza Atlantica in Europa Centro-Orientale un’operazione militare volta a minacciare l’interesse militare e geopolitico di Mosca.
Come riportato sempre dallo Spiegel, la posizione della Merkel ha gettato benzina sul fuoco all’interno della NATO, che, dopo avere calendarizzato la discussione sulla realizzazione del sistema di difesa missilistico al prossimo vertice dell’Alleanza Atlantica, ha visto ingrandirsi la già netta divisione tra Paesi contrari e Stati membri favorevoli al progetto di difesa in Europa Centro-Orientale.
Tra i Paesi contrari allo “scudo spaziale” -com’è denominato il sistema di difesa missilistico della NATO- oltre alla Germania è facile annoverare anche Francia, Belgio, Ungheria, Slovenia, Austria e Slovacchia: Stati che hanno assunto una posizione marcatamente filorussa, e che spesso hanno dimostrato di anteporre il proprio interesse personale nell’intrattenere rapporti diretti con Mosca, sopratutto sul piano energetico, anziché rafforzare una comune posizione a garanzia della sicurezza di tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Tra questi Stati spicca la presenza dell’Ungheria, il cui Premier, Victor Orban, ha dichiarato la volontà di porsi a capo di una colazione pro-Russia in Europa, che faccia pressione presso la Comunità euro-atlantica per alleggerire la pressione economica e commerciale che UE ed USA stanno applicando a Putin in reazione all’aggressione militare russa all’Ucraina per mezzo delle sanzioni economiche e commerciali.
Nello specifico, come riportato da Euractiv, Orban ha invitato a preferire l’opportunità economica e commerciale delle relazioni con Putin al timore per la sicurezza energetica e militare dei singoli Paesi UE.
Dall’altra parte della barricata, tra i membri NATO favorevoli allo “scudo spaziale” lo Spiegel annovera Stati Uniti d’America, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Romania: Paesi -USA a parte- che in seguito all’aggressione militare della Russia all’Ucraina, vedono minacciata la loro sicurezza nazionale.
Come riportato in un’intervista al settimanale Wprost dal Generale Waldemar Skrzypczak, esperto di questioni militari ed ex-Viceministro della Difesa polacco dal 2012 al 2013, l’esercito della Polonia è ad oggi impreparato a fronteggiare una possibile invasione da parte dei russi, che potrebbero così occupare tutto il Paese in soli tre giorni.
Simile allarme è stato comunicato alla Merkel dal Premier lettone, Laimdota Straujuma, che, nella giornata di mercoledì, 20 Agosto, ha dichiarato la necessità di rafforzare le infrastrutture difensive della NATO in Lettonia per garantire la sicurezza nazionale dei Paesi del Baltico da una possibile aggressione militare da parte della Russia.
La posizione della Germania di assoluta contrarietà allo “scudo spaziale” rientra nella strategia geopolitica adottata dalla Merkel per presentare il Governo tedesco come unico mediatore europeo per la pace tra Ucraina e Russia e, sopratutto, come garante del mantenimento degli interessi economici ed energetici tra Mosca e l’Europa.
In questo solco si colloca la recente visita della Merkel in Ucraina, dove, secondo indiscrezioni ben informate, il Cancelliere tedesco potrebbe avere convinto il Presidente ucraino, Petro Poroshenko, a rinunciare all’integrazione economica di Kyiv nell’UE -apertamente osteggiata da Mosca- in cambio dell’evacuazione dal Donbas e dalla Crimea delle truppe di occupazione russe.
D’altro canto, come riportato dall’autorevole PAP, i Paesi favorevoli al sistema di difesa missilistico avrebbero tutto l’interesse a calcare la mano per ottenere il rafforzamento della presenza militare permanente dell’Alleanza Atlantica in Europa Centro-Orientale.
Ad oggi, sulla base di accordi stretti con la Russia, la NATO può infatti solo stazionare in Europa Centro-Orientale con contingenti armati in maniera temporanea che, a rotazione, garantiscono la difesa militare, sopratutto quella aerea e navale, dei membri “orientali” dell’Alleanza Atlantica.
Putin vince con il divide et impera in Europa
Dalla contesa interna alla NATO, l’unico ad uscire davvero vincitore è finora il Presidente Putin, che, per rompere il fronte dell’Alleanza Atlantica, si è avvalso della sua propaganda per forzare l’ingiustificato timore in base al quale lo “scudo spaziale” sarebbe un’iniziativa che minaccia la Russia.
Il progetto di difesa missilistico è infatti composto da una postazione radar in Turchia e da batterie di missili SM-3 -intercettori balistici privi di capacità offensiva, ergo utilizzabili solo per fermare la corsa di possibili vettori provenienti dal Medio Oriente- dislocate a rotazione in Polonia, Romania e nella stessa Turchia: Paesi ai quali di recente si sono aggiunte anche Danimarca e Norvegia.
L’attuale versione dello “scudo spaziale” è stata concepita dall’Amministrazione democratica del Presidente USA, Barack Obama, come un’evoluzione del precedente sistema di difesa missilistico concepito dal suo predecessore, il repubblicano George W Bush.
Il piano originario, archiviato nel 2009 a pochi mesi dall’inserimento di Obama, prevedeva una postazione radar in Repubblica Ceca e, in Polonia, batterie permanenti di missili Patriot: intercettori dotati di capacità offensiva.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro-Orientale
Twitter @MatteoCazzulani
La Germania vende parte della RWE a Putin e mette a repentaglio l’Ucraina
Il Governo tedesco da il suo ok alla vendita della compagnia RWE Dea al fondo LetterOne, di proprietà del ricco oligarca russo Mikhail Fridman, nota personalità vicina al Presidente russo. Verdi e CDU contestano la SPD per avere autorizzato un’operazione che mette a repentaglio la sicurezza energetica sia di Berlino che di Kyiv
Una transazione di 5,1 miliardi di euro per una compagnia da cui dipende molto degli equilibri energetici in Europa Centro-Orientale. Nella giornata di venerdì, 22 Agosto, il Governo tedesco ha approvato la cessione della RWE Dea: una controllata del colosso energetico RWE, che secondo quanto stabilito dal Ministero dell’Economia della Germania sarà acquisita dal fondo LetterOne, di proprietà del ricco oligarca russo Mikhail Fridman.
Come riportato dall’agenzia PAP, la RWE Dea si occupa della commercializzazione del gas non solo in Germania, ma anche in Gran Bretagna, Norvegia ed Egitto: una vasta presenza in diverse aree del Mondo che fa si che la compagnia tedesca ricopra un ruolo fondamentale nel sistema di compagnie controllate dalla RWE.
A conferire ancora più importanza alla RWE Dea è l’importanza che il settore del gas avrà in Germania per via della decisione del Cancelliere tedesco, Angela Merkel, di rinunciare al nucleare dopo il disastro di Fukushima, nel 2010.
La vendita della RWE Dea, che è stata accettata dalla RWE per ridurre i debiti societari, ha tuttavia sollevato un vespaio di polemiche per via della sua acquisizione da parte di uno degli uomini più ricchi di un Paese, la Russia, a cui l’Unione Europea ha applicato sanzioni economiche per protestare contro l’aggressione militare all’Ucraina.
A motivare le critiche alla vendita della RWE Dea, avanzate dai Verdi tedeschi e da alcuni esponenti della cristiano democratica CDU -che è pure il Partito di Governo del Cancelliere Merkel- è anche lo stretto legame che sussiste tra il fondo LetterOne e il Presidente russo, Vladimir Putin.
Questo fatto ha avanzato il sospetto che la cessione al fondo russo della RWE Dea sia avvenuto in violazione delle sanzioni UE e, sopratutto, possa mettere a repentaglio la sicurezza energetica della Germania, visto l’effettivo rafforzamento della presenza di capitali della Russia nel mercato tedesco dell’energia.
Pronta è stata la risposta del Ministero dell’Economia tedesco, attorno a quale ha fatto quadrato la SPD -la forza politica socialdemocratica che appartiene alla coalizione di Governo con la CDU- che ha assicurato di avere ricevuto il via libera dell’UE all’operazione.
Il Ministero dell’Economia, guidato dal Vicecancelliere, Sigmar Gabriel -che è anche il Segretario della SPD- ha inoltre argomentato la regolarità della vendita della RWE Dea sostenendo che il fondo LetterOne è registrato in Lussemburgo: uno Stato UE che non è soggetto alle sanzioni che l’Europa ha imposto alla Russia.
Oltre che per il mercato dell’energia tedesco, la cessione della RWE Dea, che funge da preludio ad una vera e propria scalata dei russi alla RWE, ha ripercussioni anche per la sicurezza energetica dell’Ucraina, che per diminuire la dipendenza dal gas della Russia ha avviato l’importazione di oro blu russo proveniente dalla Germania, fornito attraverso i gasdotti di Polonia, Slovacchia e Ungheria.
Secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Energia ucraino, Yuri Prodan, e riportato dall’autorevole Dzerkalo Tyzhnya, l’importazione del gas russo da ovest, commercializzato a prezzi convenienti dalla RWE, è destinato a ricoprire il 50% del fabbisogno di gas dell’Ucraina.
In caso di pieno possesso dei russi della RWE, o anche solo della presenza di una cospicua fetta di capitale russo nella compagnia tedesca, l’Ucraina si troverebbe sempre a dovere dipendere dalla Russia, che si avvale del gas come strumento di coercizione geopolitica per fagocitare Kyiv nell’orbita di Mosca.
Anche l’Ucraina punta sui rigassificatori
A confermare i timori legati al possibile, e probabile, incremento della presenza dei russi in Germania sono le parole dello Speaker della Rada ucraina, Oleksandr Turchynov, che, come riportato dalla radio Golos Stolitsi ha proposto di accelerare la costruzione del rigassificatore di Odessa.
Questa infrastruttura, bloccata sotto l’Amministrazione dell’ex-Presidente ucraino, l’autoritario filo-russo Viktor Yanukovych, permetterebbe in Ucraina l’importazione di gas liquefatto da Norvegia, Egitto, Qatar e Stati Uniti d’America.
Grazie alla realizzazione dei rigassificatori, Polonia e Lituania, seguendo una direttiva UE in materia di diversificazione delle forniture di gas, hanno intenzione di avvalersi del gas liquefatto da Qatar e Norvegia per incrementare la sicurezza energetica da possibili ricatti geopolitici e contrattuali da parte dei russi.
Matteo Cazzulani
Analista di Politica dell’Europa Centro-Orientale
Twitter @MatteoCazzulani
Guerra del Gas: Polonia e Lituania avanti con la diversificazione
I Governi polacco e lituano chiedono alla Commissione Europea il finanziamento del 75% di un gasdotto concepito per unificare i sistemi infrastrutturali energetici dei due Paesi. Anche la realizzazione di due importanti rigassificatori fanno di Varsavia e Vilna i battistrada dell’integrazione energetica europea e della diversificazione delle forniture di gas per decrementare la dipendenza dell’Europa Centrale dalla Russia
La Polonia con il Qatar, la Lituania con la Norvegia: questa è la strategia di diversificazione delle forniture di gas adottata dal Governo polacco e da quello lituano per diversificare le importazioni di energia, come previsto dalla Commissione Europea per decrementare la dipendenza dei Paesi membri dell’Unione Europea dall’import dalla Russia.
Nella giornata di giovedì, 21 Agosto, Polonia e Lituania hanno inviato richiesta ufficiale alla Commissione Europea per il finanziamento del 75% di un Gasdotto progettato per unificare il sistema dei gasdotti nazionali dei due Paesi, come riportato da Euractiv.
Il progetto, il cui costo complessivo ammonta a 558 milioni di Euro, ha una portata di 2,3 Miliardi di metri cubi di gas, ed è concepito per integrare sul piano energetico due dei Paesi UE più fortemente dipendenti dalle importazioni della Russia.
Il gasdotto polacco-lituano non è l’unico del suo genere pronto ad essere finanziato dalla Commissione Europea: la Polonia, ad esempio, ha progettato la realizzazione di infrastrutture per unificare il suo sistema energetico nazionale con quello di Repubblica Ceca, Slovacchia e Germania, mentre la Lituania ha varato un simile piano per unificare le sue infrastrutture con quelle di Lettonia ed Estonia.
Tuttavia, a conferire particolare importanza al gasdotto polacco-lituano è la realizzazione di due importanti rigassificatori, quello di Swinoujscie in Polonia e quello di Klaipeda in Lituania, da cui dipende il funzionamento dell’infrastruttura per cui Varsavia e Vilna hanno chiesto il finanziamento alla Commissione Europea.
Per quanto riguarda il rigassificatore di Swinoujscie, che è ancora in fase di realizzazione, la Polonia, nel 2009, ha firmato un accordo con il Qatar per l’importazione di 1,5 Miliardi di metri cubi di gas liquefatto annui per un totale di 550 Milioni di Dollari all’anno a partire dalla fine dei lavori, come riportato da una nota della Cancelleria del Premier polacco.
Il gas del Qatar servirà non solo per decrementare la dipendenza della Polonia dalla Russia -da cui Varsavia dipende per l’82% del suo fabbisogno di oro blu- ma, attraverso i gasdotti in via di realizzazione, sarà utilizzato anche per rifornire Repubblica Ceca, Slovacchia e Lituania e, indirettamente, anche gli altri Stati membri dell’UE.
Il rigassificatore di Klaipeda è invece concepito per importare gas liquefatto in primis dalla Norvegia, come confermato da un contratto firmato, venerdì, 22 Agosto, dalla compagnia lituana LitGas con il colosso energetico norvegese Statoil.
Estonia e Lettonia puntano sulla Norvegia
Il contratto lituano-norvegese, come riportato dall’agenzia PAP, prevede l’acquisto da parte della Lituania di 540 Milioni di metri cubi di gas liquefatto all’anno secondo un tariffario che fissa il prezzo del LNG alle quotazioni di mercato, e non più al prezzo del greggio, come invece sancito nel contratto tra Polonia e Qatar.
Oltre al lato tariffario del contratto tra LitGas e Statoil, a rendere importante l’accordo lituano-norvegese è l’avvio di un impegno concreto che, come dichiarato a più riprese dalla Norvegia, vede Oslo impegnata nel garantire rifornimenti di gas costanti a tutti i Paesi del Baltico.
In questo progetto, la Lituania ricopre un ruolo fondamentale, dal momento in cui il rigassificatore di Klaipeda è ubicato in un porto accessibile tutto l’anno da navi di grosse dimensioni con pescaggio profondo.
I porti degli altri Paesi del Baltico, invece, sono inutilizzabili perché ghiacciati durante i mesi più freddi dell’anno, in cui la richiesta di gas aumenta.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro-Orientale
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Ucraina: le sanzioni UE fanno davvero male a Putin
Come riporta uno studio dell’autorevole OSW, la Russia non è in grado di supplire nel breve termine all’embargo applicato dall’Unione Europea, anche per causa delle contro-sanzioni che il Presidente russo ha imposto ai beni agro-alimentari ed ortofrutticoli europei. Tuttavia, la propaganda della Russia sta avendo effetto in diversi Stati membri dell’UE
Non solo per l’isolamento geopolitico: le sanzioni che l’Unione Europea ha applicato alla Russia in risposta all’aggressione militare all’Ucraina, e al sostegno bellico-finanziario ai miliziani pro-russi nel Donbas, stanno facendo davvero male a Mosca e alla sua economia. A riportarlo è uno studio dell’autorevole centro studi OSW, che ha sottolineato come la guerra di sanzioni scatenatasi tra UE e Russia stia per indebolire in maniera consistente sopratutto Mosca.
Le sanzioni imposte dalla Russia lo scorso 7 Agosto, in reazione a quelle applicate dall’UE il Primo di Agosto, riguardano l’embargo sull’importazione dall’Unione Europea di gruppi di merce scelti e di prodotti agricolo-alimentari, il cui fabbisogno, tuttavia, può essere soddisfatto da Mosca solo e solamente grazie all’import dal mercato europeo.
Le sanzioni della Russia all’UE, che come OSW evidenzia sono state adottate dal Governo in fretta e furia, senza alcun consulto con esperti, né esponenti di categoria, ma solo per realizzare un preciso ordine del Presidente russo, Vladimir Putin, stanno infatti portando ad un deficit interno a Mosca tra la domanda e l’offerta, sopratutto per quanto riguarda formaggi e altri latticini, verdura, frutta e prodotti tecnici per le aziende agricole.
Inoltre, come riporta sempre OSW, la Russia, per limitare le importazioni di carni e di altri prodotti alimentari europei nel mercato russo, ha imposto controlli fitosanitari molto stringenti, senza tuttavia occuparsi del controllo degli allevamenti interni, che, a causa di epidemie e incuria, non riescono a colmare il gap dovuto dall’assenza di importazioni dall’UE.
Per arginare il deficit, la Russia non può contare né sull’incremento della produzione interna -un settore in cui, come riporta OSW, le aziende agricole e gli enti regionali sono sempre più indebitati ed arretrati- né sulla diversificazione delle importazioni con l’aumento degli acquisti dei beni alimentari e tecnici da Cina, Turchia, Sudamerica, Egitto e Iran.
Oltre all’elevato costo per il trasporto delle merci, le importazioni da Cina, Turchia, Sudamerica, Egitto e Iran -i Paesi a cui Mosca si è rivolta per porre rimedio alle sanzioni UE- non sono in grado di pareggiare in Russia l’import dall’Europa nemmeno per quanto riguarda la qualità: un aspetto a cui sopratutto gli acquirenti di alto tenore, in Russia in tanti sono particolarmente attenti.
A mettere a repentaglio la situazione della Russia è anche il mancato riexport nel mercato russo di beni europei veicolati da Paesi terzi: la Svizzera e la Norvegia hanno supportato gran parte delle sanzioni UE in ambito economico, mentre Bielorussia e Kazakhstan hanno preferito incrementare l’importazione dei prodotti europei per soddisfare la domanda interna ed abbassare i costi dei beni alimentari presso i loro mercati interni.
Quanto sta accadendo in Bielorussia e Kazakhstan è particolarmente rilevante, dal momento in cui la Russia sta puntando proprio sulla solida alleanza con Minsk e Astana per creare un unico mercato dell’area ex-URSS nell’ambito dell’Unione Eurasiatica: progetto di integrazione geopolitica, concepito da Mosca per restituire al Cremlino lo status di superpotenza mondiale con una cospicua influenza a livello sovra regionale, che le sanzioni UE sono riuscite a mettere in crisi.
Regresso economico e messa a repentaglio dei sogni di grandezza imperiale a parte, la Russia sta tuttavia controbattendo all’Europa in maniera efficace, con la speranza che le armi messe in campo da Mosca riescano a fiaccare la già debole iniziativa dell’UE, prima che gli effetti delle sanzioni europee costringano Putin a porre fine all’appoggio logistico ed economico ai miliziani pro-russi in Ucraina.
La prima arma messa in campo da Mosca sono le contro-sanzioni che, come riporta sempre OSW, hanno già colpito il 20% dell’export agricolo di Estonia, Lettonia, Lituania, Lettonia e Finlandia, e gran parte di quello dei prodotti ittici di Norvegia e di quello ortofrutticolo della Polonia. Inoltre, le sanzioni russe hanno anche colpito il settore agro-alimentare di Italia e Germania, e quello turistico della Slovenia.
La seconda arma di cui la Russia si avvale è l’opera di propaganda, che, forte del ben radicato antiamericanismo in quasi tutta Europa -sopratutto in Francia, Italia e Germania- mira oggi a fomentare la diffusione di notizie sugli effetti negativi delle sanzioni UE a Mosca presso i mercati interni dei Paesi europei: il medesimo meccanismo con cui, ieri, sempre la macchina della disinformazione di Mosca ha presentato gli ucraini come “pericolosi nazisti” e “popolo aggressore”.
In reazione alle sanzioni della Russia, molti tra i Paesi europei -Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania e Norvegia in primis- hanno diversificato il proprio export aprendo a Turchia, Cina, Cile, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan ed altri mercati sudamericani ed asiatici.
Tuttavia, in altri Stati dell’UE, la propaganda russa ha ottenuto il proprio risultato, come dimostrato dalle dichiarazioni contro le sanzioni europee espresse dai Presidenti di Repubblica Ceca e Slovacchia, Milos Zeman e Robert Fico, e dal Premier ungherese, Viktor Orban, mentre il Ministro degli Esteri greco, Evangelos Venizelos, ha avviato trattative separate con la Russia per evitare sanzioni da parte di Mosca nonostante la posizione comune dell’UE.
Kyiv potrebbe riottenere la Crimea se il prezzo del greggio continua a scendere
A riprova della crisi in cui si trova la Russia, a causa delle sanzioni UE, è anche il crollo del prezzo del greggio sul mercato mondiale, a cui è collegato il tariffario che Mosca impone all’Ucraina per la compravendita del gas.
Secondo quanto riportato dall’Ukrayinska Pravda, fino a quando il prezzo del greggio resta superiore ai 100 Dollari al Barile, la Russia può permettersi di perseguire i disegni di aggressione militare a stampo imperialista come quello attuato in Ucraina.
Tuttavia, come riportato dal giornale russo Vedomosti, il prezzo del greggio, a causa sia delle sanzioni UE sul settore energetico russo, che delle crisi politiche in Libia ed Iraq, sta crollando abbastanza vertiginosamente.
Qualora il prezzo del greggio dovesse scendere sotto i 100 Dollari per Barile, la Russia, come riportato sempre dall’Ukrayinska Pravda, potrebbe rinunciare all’impegno armato in Ucraina a fianco dei miliziani pro-russi, finanche a concedere a Kyiv la restituzione della Crimea.
Secondo l’autorevole sito di informazione ucraino, è proprio su questo tema che potrebbe basarsi l’incontro tra il Presidente ucraino, Petro Poroshenko, e il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, che Berlino ha fortemente voluto prima del vertice di Minsk tra il Capo di Stato dell’Ucraina, i rappresentanti UE, e quelli dei Paesi dell’Unione Eurasiatica.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro-Orientale
Twitter @MatteoCazzulani
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