Polonia e Ungheria: l’incontro Kaczyński-Orbán mostra le divisioni interne al governo polacco
Il leader del principale Partito polacco riceve il Premier ungherese per prendere una posizione comune sulla permanenza della Gran Bretagna nell’UE. Fronte comune contro le critiche dell’Unione Europea e collaborazione energetica le vere tematiche dell’incontro.
Varsavia – La tradizionale carpa natalizia polacca con vino ungherese di eccezione sono stati i piatti forti del menù dell’incontro segreto tra Jarosław Kaczyński e Viktor Orbán, rispettivamente il leader del principale partito della Polonia, Diritto e Giustizia -PiS, la forza politica alla quale appartengono il Presidente della Polonia, Andrzej Duda, il Premier, Beata Szydło, e tutti i Ministri del Governo polacco- e il Premier dell’Ungheria.
Come dichiarato dagli uffici stampa dei due protagonisti, Kaczyński e Orbán, incontratisi senza comunicazioni alla stampa in una località di villeggiatura presso il confine polacco-slovacco, nella giornata di mercoledì, 6 Gennaio, hanno concordato una posizione comune di Polonia e Ungheria in merito alle condizioni che la Gran Bretagna ha posto all’Unione Europea per restare Paese membro dell’UE.
In realtà, come dimostra la presenza dell’esperto PiS in materia energetica, Piotr Naimski, Kaczyński e Orbán durante l’incontro, che il Premier ungherese ha descritto come un cordiale incontro tra amici e oppositori del regime sovietico, hanno anche discusso di energia e, più in generale, di politica regionale.
A confermare il presunto ordine del giorno dell’incontro è la necessità per il governo polacco di controbattere alle obiezioni che l’Unione Europea ha mosso alla Polonia per la sostituzione repentina dei giudici della Corte Costituzionale e per l’approvazione di una riforma dei media che sottopone i Direttori delle televisioni statali al controllo delle finanze pubbliche.
Le misure prese dal governo polacco, che hanno portato il Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, a parlare di “orbanizzazione” e “putinizzazione” della Polonia, assomigliano a quelle approvate da Orbán in Ungheria nel 2010, all’indomani di una vittoria schiacciante alle elezioni legislative che ha garantito al suo partito, il conservatore Fidesz, la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
Dunque, l’incontro con Orbán sarebbe servito al leader del PiS, che nelle ultime Elezioni Parlamentari, così come Fidesz, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, per creare un fronte comune di Polonia ed Ungheria in nome di euro scetticismo, cattolicesimo patriottico e conservatorismo: i valori che uniscono PiS e Fidesz.
Tuttavia, l’opposizione all’Unione Europea, e sopratutto alle bordate di Schulz, non è l’unica ragione che ha portato all’incontro tra Kaczyński e Orbán.
Per la Polonia, l’Ungheria è infatti un alleato chiave nella realizzazione dell’Intermarium, alleanza dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale che il Presidente Duda ha fortemente voluto per contrastare lo strapotere della Germania in seno all’UE e la rinata aggressività militare della Russia.
All’interno dell’Intermarium si può sviluppare infatti una collaborazione di ordine politico ed energetico che Polonia ed Ungheria, ad esempio attraverso il flusso di gas dal rigassificatore polacco di Świnoujście all’Ucraina, potrebbero avviare per agevolare la diminuzione della dipendenza dell’Europa Centro-Orientale dalle forniture di gas dalla Russia.
Politica Jagellonica vs politica dei Kresy all’interno del PiS
Proprio la Russia, tuttavia, rappresenta la seconda ragione per la quale Kaczyński -uno dei politici più fortemente critici nei confronti della Russia in Europa- ha voluto incontrare Orbán, che negli ultimi anni ha instaurato una collaborazione con la Russia sul piano politico ed energetico.
Infatti, Kaczyński deve fare i conti con una fazione interna al suo partito, i sostenitori della “politica dei Kresy”, che vede con favore una collaborazione strategica con la Russia per riprendere il controllo dei territori della Polonia interbellica oggi appartenenti a Ucraina, Bielorussia e Lituania.
A questo gruppo, al quale appartiene il famoso giornalista Mariusz Kolonko, noto per le sue posizioni ucrainofobe e recentemente ingaggiato dalla televisione nazionale polacca TVP attraverso un voto congiunto di PiS e del Movimento Kukiz ’15, forza politica di ispirazione populistica e nazionalistica, si oppone il fronte interno al PiS dei sostenitori della cosiddetta “politica Jagellonica”.
Questa dottrina, che ha come storico promotore Lech Kaczyński, ex-Presidente e fratello-gemello di Jarosław scomparso nella controversa catastrofe di Smolensk nel 2010, prevede l’impegno della Polonia a garanzia della democrazia e dell’integrazione nelle strutture euroatlantiche di Ucraina, Georgia e Bielorussia.
Questa seconda fazione, alla quale appartengono il Ministro degli Esteri, Witold Waszczykowski, e il suo vice, Konrad Szymański, resta maggioritaria all’interno del PiS.
Tuttavia, le frange dei giovani militanti del partito di Kaczyński guardano con sempre più interesse ad un’alleanza con i populisti del Movimento Kukiz ’15, che presenta chiari accenti anti-europei ed anti-ucraini.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro Orientale
Orban ci ripensa su Ucraina, Russia ed Europa
Il Premier ungherese dichiara che l’inviolabilità dei confini ucraini è condizione fondamentale per la sicurezza di Budapest. Parole di elogio anche nei confronti dell’Unione Europea dopo le recenti frizioni.
Varsavia – I confini dell’Ucraina devono rimanere inviolati e l’Unione Europea deve essere rafforzata per creare un’entità statale in grado di valorizzare e sviluppare i suoi Paesi membri. Questa è la nuova posizione del Premier ungherese, Viktor Orban, che nella giornata di martedì, 10 Novembre, sulle colonne del portale Portfolio.hu ha dichiarato il sostegno dell’Ungheria all’indipendenza e all’integrità territoriale ucraina.
Nello specifico, Orban ha evidenziato che la destabilizzazione dell’Ucraina non rientra nell’interesse nazionale ungherese, così come la presenza di un confine condiviso con la Russia, che il Premier dell’Ungheria ha definito essere “indesiderato” da Budapest.
La presa di posizione di Orban, che pur avendo dichiarato la sua volontà di mantenere un rapporto di stretta collaborazione con la Russia ha sottolineato che l’Ungheria si batterà per l’integrità territoriale ucraina, rappresenta un vero e proprio cambio di campo, dal momento in cui il Premier ungherese è stato tra i leader europei che non hanno mai condannato né l’annessione armata della Crimea a parte di Mosca, né l’occupazione militare russa del Donbas.
Inoltre, nel corso di diversi eventi pubblici, Orban si è presentato come paladino dei diritti della minoranza magiara in Ucraina che, secondo il suo punto di vista, sarebbero calpestati dal nuovo Governo di Kyiv: un’argomentazione che lede con la realtà dei fatti, ma che risulta pienamente in linea con la retorica anti-ucraina del Presidente della Russia, Vladimir Putin.
La svolta “pro-Ucraina” di Orban -che molto probabilmente resterà una mera dichiarazione senza alcuna attuazione pratica- non è che l’ultimo valzer geopolitico del Premier ungherese, che è già passato dal fronte Occidentale a quello russo nel corso degli ultimi anni.
Nel 2011, Orban ha fortemente sostenuto la realizzazione del Southstream, gasdotto concepito dalla Russia per incrementare la dipendenza dell’Europa dal gas russo in piena violazione delle leggi europee in materia di libera concorrenza. Pochi anni prima, Orban era uno dei più accesi sostenitori del Nabucco, infrastruttura concepita dalla Commissione Europea per diversificare le forniture di gas dell’Unione Europea veicolando gas direttamente dall’Azerbaijan.
Nel 2014, di pari passo con il Southstream, Orban ha consentito a Putin investimenti per 10 miliardi di Euro finalizzati all’ampliamento della centrale nucleare di Paks, l’unica dell’Ungheria, una decisione che ha de facto incrementato il controllo della Russia sul settore energetico ungherese.
Nel 1999, Orban, alla sua prima esperienza da Premier, ha condotto convintamente l’Ungheria nella NATO per salvaguardare l’appartenenza dell’Ungheria nella comunità occidentale, memore del periodo in cui Budapest è stata ripetutamente soggiogata dalla Russia sovietica.
Nel suo cambio di posizione geopolitica, Orban ha fatto anche riferimento all’Unione Europea, ribadendo che la convinta adesione all’UE dell’Ungheria ha consentito a Budapest di essere oggi un’altra Ucraina.
Le parole di lode di Orban nei confronti dell’UE vanno però in disaccordo con quanto il Premier ungherese ha dichiarato sull’Unione Europea nel Febbraio 2015, dipingendo in negativo il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, per via delle sue posizioni di forte critica nei confronti della Russia.
L’Ungheria lentamente torna a casa
Proprio la figura di Tusk, Premier della Polonia per otto anni, è centrale nel comprendere il perché della svolta filorussa di Orban, che in occasione di diversi vertici europei si è presentato come il leader di uno schieramento “russofilo” interno all’UE composto da Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca ed Austria.
Infatti, con la decisione dei Governi Tusk di porre la collaborazione con la Germania come priorità della politica estera polacca, la Polonia ha de facto privato l’Europa Centro Orientale del suo leader naturale, lasciando che Orban e i leader politici di Repubblica Ceca e Slovacchia si lasciassero tentare dalle sirene di Putin, abile a offrire vantaggi energetici ed economici in cambio della fedeltà politica alla linea di Mosca.
A cambiare la situazione è stata l’elezione a Presidente di Andrzej Duda, che ha riportato Varsavia ad essere il Paese leader dell’Europa Centro Orientale, avviando un lento ma deciso riavvicinamento di Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia ad un impegno all’interno di una coalizione regionale con Polonia e Paesi Baltici per difendere gli interessi della regione all’interno dell’Unione Europea e della NATO.
Come dimostrato dal recente Minivertice NATO di Bucarest, Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Lituania, Lettonia ed Estonia hanno infatti dichiarato la volontà di rafforzare le strutture difensive dell’Alleanza Atlantica in Europa Centro Orientale per tutelare la sicurezza della regione dall’aggressione militare russa.
Matteo Cazzulani
Analista Politico dell’Europa Centro Orientale
GAS: L’EUROPA CENTRALE TRA LIBERALIZZAZIONI ‘FILOEUROPEE’ E NAZIONALIZZAZIONI ‘FILORUSSE’
L’Ungheria concede il controllo dei gasdotti nazionali al colosso statale MVM, mentre la Repubblica Ceca favorisce un consorzio tedesco-canadese ad un’ente ceco. La Lituania e la Polonia applicano alla lettera il Terzo Pacchetto Energetico per diversificare le forniture di oro blu, e con la Romania vanno avanti sullo Shale.
In Europa Centrale c’è chi guarda all’Europa, chi ad Oltreoceano, e chi alla Russia. Nella giornata di lunedì, Primo di Aprile, il colosso energetico statale ungherese MVM ha rilevato il controllo della gestione della compravendita e della distribuzione del gas in Ungheria dalla compagnia tedesca E.On.
Come riportato da Gazeta Wyborcza, l’operazione è stata varata dal Premier, Viktor Orban, per conferire al Governo di Budapest un più forte potere contrattuale con il monopolista russo del gas, Gazprom, e, di conseguenza, rafforzare i legami con la Russia.
Il Premier Orban di recente ha definito la Russia un partner economico e politico indispensabile per Budapest, e, nel 2012, ha portato l’Ungheria tra i Paesi sostenitori della costrizione del Southstream: gasdotto progettato da Gazprom per aumentare la dipendenza dell’Europa dalle forniture di gas di Mosca -da cui l’UE già dipende per il 40% del proprio fabbisogno nazionale.
La nazionalizzazione della compravendita di gas in Ungheria è anche un’operazione economica che ha fruttato un lauto guadagno nelle casse dello Stato: nel 2005, la E.On ha pagato al Governo 2,5 Miliardi di Euro, mentre ora ha ottenuto dalla MVM solo 1,2 Miliardi di Euro.
Sul piano politico, la manovra di Orban è però contraria al Terzo Pacchetto Energetico UE: legge emanata dalla Commissione Europea per separare l’ambito della compravendita del gas con quello del trasporto dell’oro blu,
Il Terzo Pacchetto Energetico ha la finalità di evitare la creazione di monopoli, e di porre fine all’egemonia di colossi extraeuropei nel mercato dell’energia del Vecchio Continente.
In linea con la Legge UE ha agito la Repubblica Ceca, in cui la compagnia Net4Gas, incaricata della gestione della distribuzione del gas, è stata venduta dall’ente tedesco RWE alle compagnie assicurative Allianz e a quella canadese Borealis.
La vendita del controllo dei gasdotti nazionali della Repubblica Ceca al consorzio tedesco-canadese, che ha fruttato alla RWE 1,2 Miliardi di Euro, ha impedito il rafforzamento della posizione della compagnia energetica ceca EPH nella gestione dei gasdotti dell’Europa Centrale.
Nel 2012, la EPH ha infatti acquistato per 2,9 Miliardi di Euro dalla E.On e dalla compagnia francese Suez-Gaz de France il 49% della compagnia SPP, incaricata della gestione dei gasdotti della Slovacchia.
La vendita della SPP alla EPH è stata sostenuta dal Premier slovacco, Robert Fico, in cambio dell’impegno da parte della compagnia ceca sul mantenimento di un prezzo basso del costo del gas applicato alla popolazione.
Vilna e Varsavia a sostegno dell’Europa
Così come la Repubblica Ceca, in Europa Centrale anche la Lituania ha applicato alla lettera il Terzo Pacchetto Energetico per diminuire la dipendenza dal gas della Russia, che ad oggi copre il 99% del fabbisogno nazionale di Vilna.
Nel Marzo 2013, il Governo lituano ha creato la Amber Grid: una compagnia incaricata di rilevare il 76% delle azioni dell’ente nazionale Lietuvos Dujos, finora possedute dalla E.On e da Gazprom.
La Lituania ha inoltre implementato la realizzazione del rigassificatore di Klaipeda che, come preventivato dalla Legge UE, consente di immettere nel mercato unico europeo gas liquefatto proveniente da Qatar, Egitto, Norvegia e Stati Uniti d’America.
Così come la Lituania, per realizzare i postulati del Terzo Pacchetto Energetico anche la Polonia ha varato la costruzione di gasdotti per unire il sistema infrastrutturale energetico di Varsavia con quello degli altri Paesi dell’Europa Centrale.
La Polonia è a che attiva nella realizzazione del Corridoio Nord-Sud: conduttura concepita, con il sostegno della Commissione Europea, per unificare il rigassificatore polacco di Swinoujscie con quello croato di Krk, entrambi in fase di realizzazione.
Polonia, Romania e Lituania in prima fila sullo Shale
La Polonia ha inoltre implementato la ricerca dello Shale: gas ubicato in rocce porose poste a bassa profondità, ad oggi estratto con sofisticate tecniche di fracking solo in Nordamerica.
Secondo gli studi, il territorio polacco contiene una riserva consistente di Shale tale da permettere a Varsavia di porre fine alla dipendenza dalla Russia, le cui forniture di gas naturale coprono oggi l’82% del fabbisogno energetico polacco.
In Europa Centrale, interessata allo Shale, oltre che la Polonia, ed anche la Lituania, è la Romania, il cui Premier, Victor Ponta, ha tolto la moratoria precedentemente imposta sullo sfruttamento di gas non convenzionale.
Ponta ha argomentato la decisione con la necessita di diversificare le fonti di approvvigionamento di Bucarest, e di garantire all’Europa una possibile soluzione alla forte dipendenza dalle importazioni di energia dall’estero.
La Romania ha anche sostenuto apertamente la realizzazione del Nabucco: gasdotto concepito per veicolare in Europa 30 Miliardi di metri cubi all’anno di gas dall’Azerbaijan, che la Russia è intenzionata a bloccare con il Southstream per evitare di perdere il monopolio sul mercato dell’energia europeo.
Matteo Cazzulani
UE ED OSCE: LITUANIA ED UNGHERIA ALLA PROVA
Ai due Paesi della Nuova Europa, rispettivamente la Presidenza di Turno dei due organismi. I piani per risolvere le sfide più attuali
L’una, dinnanzi alle sfide globali. L’altra, a quelle locali, con uno sguardo ad Est. Questa la doppia strategia dei due Paesi UE, che per i prossimi mesi ricopriranno enormi responsabilità. La Lituania, il coordinamento dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea. L’Ungheria, la presidenza di turno dell’Unione Europea.
Ambizioso il piano della Repubblica Baltica, che ha promesso un ruolo attivo nella risoluzione dei conflitti tra paesi OSCE. Tra essi, quello nelle repubbliche georgiane di Ossezia del Nord ed Abkhazija, tra Azerbajdzhan ed Armenia per il Nagorno-Karabakh, e le continue frizioni tra Moldova e Transnistria.
Un’operazione diplomatica delicata, sempre all’insegna della non violenza. La stessa che, come dichiarato dal Ministro degli Esteri di Vilna, Audronjus Azubalis, la Lituania intende adottare anche nei confronti della vicina Bielorussia.
Sopratutto, in seguito agli arresti politici, ed ai brogli elettorali, dello scorso 19 dicembre, che hanno confermato la natura autoritria dell’Amministrazione di Aljaksandar Lukashenka.
“Sono dispiaciuto — ha dichiarato il diplomatico — dinnanzi alla decisione della Bielorussia di chiudere la sede OSCE. Ci batteremo per ripristinare la collaborazione”.
In aggiunta, altre battaglie degne di merito. Oltre alla lotta contro il traffico di narcotici ed esseri umani, la difesa dei diritti dei giornalisti. Una categoria, come dimostrano le cronache giornaliere, purtroppo ancora scomoda in molte parti del Mondo, dove essere reporter significa rischiare ricatti e percosse. Se non peggio.
Dinnanzi a tale emergenza, Vilna ha promesso di squarciare il velo di silenzio sulla sorte dei cronisti, spesso motivato da ragioni geopolitiche: sete di gas della Vecchia Europa, e volemose bene obamiano-komorowskiano, in primis.
Budapest guarda a Kyiv
Differente la strategia magiara. L’Ungheria ha dedicato la guida semestrale UE alla regione del Danubio. 14 i Paesi coinvolti in un piano di sviluppo di trasporto fluviale, turismo, tutela dell’ambiente, e scambi culturali.
Tra essi, anche chi dell’Unione Europea non fa ancora parte, come l’Ucraina. Interessata, seppur solo parzialmente, nella Oblast’ di Odessa.
100 miliardi di euro, l’investimento stanziato per un’operazione accolta tiepidamente dagli esperti. Oltre alla non certa volontà di collaborare da parte di tutti gli Stati, ad essere criticata è la natura prettamente economica del progetto.
Non sufficiente, ad agevolare l’integrazione di Kyiv nell’Unione continentale.
Matteo Cazzulani
L’UNGHERIA VARA UN BILANCIO CORAGGIOSO
Discussioni sulla riforma del sistema pensionistico. Il governo alla ricerca di fondi per estingure i debiti con il FMI
Una politica lacrime e sangue in salsa ungherese. Nella giornata di mercoledì, 8 dicembre, il governo del conservatore Viktor Orban ha varato il bilancio 2011. Una manovra importante, che abbraccia diversi ambiti dell’economia, anche quelli più delicati, con lo scopo di evitare una deriva greco-irlandese.
Il settore più contestato, su cui si basa l’intero budget, quello del sistema pensionistico. Il governo ha previsto la migrazione di tutte le pensioni private — obbligatorie nel Paese — nel fondo statale di previdenza sociale. Un inedito per un esecutivo di centrodestra, giustificato dalla necesità di reperire 1 miliardo di euro, per estinguere i debiti finora accumulati.
Infatti, i precedenti governi hanno fatto largo ricorso a prestiti del Fondo Monetario Internazionale, e di altre banche mondiali. Una scelta pesante. Che, ad oggi, costa ad ogni ungherese circa 10 miliardi di Dollari.
Budapest alla prova internazionale
Ad attaccare il budget, oltre, ovviamente, all’opposizione socialdemocratica — responsabile della difficile situazione in cui versano le casse di Budapest — anche il Wall Street Journal, preoccupato per la gestione troppo imprenditoriale del Paese.
In risposta, il Ministro dell’Economia, Djerd Matolcsy, ha assicurato che Budapest ha agito conconrdemente con la legislazione europea. E, che, la riforma del sistema previdenziale consentirà nel 2012 il varo di un budget meno arduo.
Matteo Cazzulani
GUERRA DEL GAS: LA VIA UNGHERESE PER L’INDIPENDENZA DA GAZPROM
AGRI, Nabucco, e siti di stoccaggio. Così Budapest è energeticamente più sicura
Essere indipendenti dal gas russo si può, anche nel cuore dell’Europa. A dare l’esempio, l’Ungheria, il cui overno di centrodestra è stato abile nell’approntare misure alternative al gas russo, che hanno garantito una significativa autonomia energetica da Mosca.
Negli ultimi mesi, il Primo Ministro, Viktor Orban, ha concordato un piano di cooperazione con Romania ed Azerbajdzan per lo sfruttamento dei giacimenti di oro blu del bacino del Caspio. E portato Budapest, assieme a Bucarest, Baku Tbilisi, tra i fondatori dell’AGRI, il consorzio incaricato del trasporto di gas centroasiatico in Europa attraverso il Nabucco — gasdotto che aggira il territorio della Federazione Russa, transitando per Georgia, Turchia e fondale del Mediterraneo.
Inoltre, il governo moderato è riuscito a concodare con la vicina Austria lo sfruttamento dei siti di stoccaggio di Vienna, da cui l’oro blu è acquistato a prezzi di gran lunga migliori rispetto a quelli imposti dal monopolista russo del gas, Gazprom.
Una politica energetica vincente
Altra soluzione, l’aumento delle riserve. Come spiegato dal Segetario del Consiglio dei Ministri per le questioni energetiche, Janos Bencik, anch’egli del partito conservatore Fidesz, Budapest ha in programma la costruzione di serbatoi sotterranei, in cui accumulare il gas inutilizzato.
In questo modo, l’Ungheria non solo sarà in grado di affrontare possibili interruzioni del flusso di carburante da Mosca. Ma anche, a sua volta, rifornire altri Paesi europei, e rafforzare il proprio ruolo geopolitico nel cuore del Vecchio Continente.
Difatti, il governo ha in programma la costruzione di gasdotti comuni con la Romania, e di altre condutture dirette in Slovenia, Serbia e Croazia. Un progetto consistente. Che, oltre all’oro blu, coinvolgerà anche la sfera dell’energenia elettrica, con l’esportazione di 400 chilowatt alla vicina Bosnia-Hercegovina.
Fortemente dipendente dal gas russo, dal 2009, a seguito dell’ultima guerra del gas tra Russia ed Ucraina, l’Ungheria ha intrapreso un programma mirato al ragiungimento della massima autonomia energetica.
Grazie a tale piano di azioni, fortemente voluto dal governo di centrodestra, Budapest ha diminuito la dipendenza dall’oro blu di Gazprom di un cospicuo 30%. E fornito un esempio per tutti gli altri Paesi UE.
Matteo Cazzulani
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