SI RAFFORZA LA POLITICA ENERGETICA DELLA RUSSIA NEI BALCANI
Il Premier russo, Dmitrii Medvedev, impone alla Moldova l’uscita dalla Comunità Energetica Europea in cambio di uno sconto sul prezzo del gas, mentre il Presidente, Vladimir Putin, concorda con la Serbia la costruzione del Southstream in tempi brevi. Si complica la situazione con la Bulgaria per via di una disputa sulla centrale nucleare di Belene e sul piano di diversificazione delle forniture del Governo bulgaro
Le minacce moldave, il maremoto coi bulgari, e le pacche sulle spalle dei serbi sono gli elementi di una politica energetica nei Balcani che Mosca ha implementato negli ultimi giorni in seguito alla crisi scoppiata tra la Commissione Europea e il monopolista russo del gas, Gazprom. Nella giornata di mercoledì, 12 Settembre, a Mosca il Premier russo, Dmitrii Medvedev, ha ricevuto il suo collega moldavo, Vlad Filat, per discutere dei rapporti energetici tra la Russia e la Moldova.
Secondo quanto riportato da una nota del Capo del Governo russo, Medvedev ha condizionato la concessione di uno sconto del 30% sul gas acquistato dalla Moldova in cambio dell’immediata uscita di Chisinau dalla Comunità Energetica Europea.
Nello specifico, il Premier russo ha chiesto a Filat – che non ha accettato – la denuncia a livello internazionale del Terzo Pacchetto Energetico UE: la legge dell’Unione Europea che liberalizza il mercato interno del gas, e vieta a monopoli registrati in Paese extra-europei – come la Russia – il controllo totale o parziale dei gasdotti degli Stati membri Comunità Energetica d’Europa.
In evoluzione è anche la situazione in Bulgaria. In cambio di uno sconto sul prezzo del gas fino alla fine del 2012, Sofia ha accettato la costruzione sul suo territorio del Southstream: gasdotto progettato dalla Russia per rifornire direttamente di oro blu russo l’Europa Sud-Ocidentale e Balcanica, ed impossibilitare la realizzazione dei piani di diversificazione delle forniture approntati dalla Commissione Europea per sfruttare direttamente i ricchi giacimenti dell’Azerbajdzhan.
Malgrado l’intesa sul Southstream, i rapporti russo-bulgari sul piano energetico sono tutt’altro che sereni. Oltre ai dubbi sul Gasdotto Ortodosso – com’è altrimenti noto il Southstream – espressi di recente dal Premier bulgaro, Boyko Borysov, il Ministro delle Finanze, Delyan Dobrev, ha annunciato un ricorso presso l’Arbitrato Internazionale contro la compagnia russa Atomstryeksport in seguito alla richiesta di un maxirisarcimento di un Miliardo di Euro per la mancata costruzione della centrale nucleare Belene.
Dinnanzi agli alti costi, e alla mancata volontà da parte dei russi di ammettere osservatori internazionali durante le procedure di costruzione, Il Governo bulgaro già nel 2010 ha congelato la costruzione della centrale, ed ha pagato una penale di 400 Milioni di Euro. Ciò nonostante, la Atomstroyeksport ha innalzato la richiesta di risarcimento di ulteriori 600 Milioni di Euro, che Sofia si è detta non intenzionata a saldare.
Dietro alle tensioni sulla centrale di Belene, e all’urgenza con la quale la Russia ha chiuso con Sofia il discorso sul Southstream, c’è il disegno energetico della Bulgaria mirato alla quanto più ramificata possibile diversificazione delle forniture di gas.
Memore della crisi del gas del 2009 – quando la Russia ha interrotto il flusso di oro blu verso Occidente per destabilizzare il Governo degli arancioni in Ucraina, lasciando a secco di rifornimenti Sofia, che allora dipendeva al 100% dall’oro blu di Mosca – il Governo bulgaro ha avviato la costruzione di una serie di infrastrutture per collegare il proprio sistema energetico nazionale con quello della Romania.
Inoltre, sempre per diminuire la dipendenza dalla Russia, il Governo bulgaro ha firmato un protocollo d’intesa con la compagnia turca Setgaz finalizzato alla messa in comunicazione dei gasdotti della Bulgaria con quelli della Turchia.
Altro capitolo della politica energetica russa nei Balcani è quello legato alla Serbia.Martedì, 11 Settembre, a Sochi, i Presidenti dei due Paesi, Vladimir Putin e Tomislav Nikolic, hanno concordato l’aumento delle esportazioni di gas russo in territorio serbo, ed è stata confermata la ferma volontà di Belgrado di avviare la costruzione del Southstream sul proprio territorio nei prossimi tempi.
Nikolic, che prima dell’incontro con Putin ha ribadito di essere “apertamente filorusso”, ha lodato la collaborazione con la Russia dal punto di vista economico, politico e culturale. A sua volta, il Presidente russo ha apprezzato la convinta adesione del collega serbo al Gasdotto Ortodosso.
La politica approntata dalla Russia nei Balcani è da collegare alla recente crisi scoppiata tra la Commissione Europea e Gazprom, in seguito alla decisione di Bruxelles di aprire un’inchiesta sul monopolista russo per condotta anti-concorrenziale nei mercati dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale.
Per mantenere la propria egemonia energetica sul Vecchio Continente, che ad oggi rappresenta il principale acquirente dell’oro blu russo, la Russia sta cercando di consolidare la propria presenza nella Penisola Balcanica e, nel contempo, scuotere la Comunità Energetica Europea dal suo interno mediante la fuoriuscita di Paesi come la Moldova.
Si innalza la tensione tra la Russia e l’Europa
Nella giornata di mercoledì, 5 Settembre, in seguito alla resa visione dei contratti firmati da Gazprom con le compagnie energetiche dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale, la Commissione Europea ha avviato un procedimento che potrebbe costringere il monopolista russo al pagamento di una multa salata per avere infranto le leggi UE a garanzia della concorrenza interna.
Mosca ha dichiarato di non intendere assumere alcun provvedimento in risposta all’iniziativa di Bruxelles, ma le principali autorità politiche russe hanno definito il Vecchio Continente come schiavo dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale, ed hanno dipinto la Commissione Europea come “ladra”.
Matteo Cazzulani
ROMANIA: FALLITO IL TENTATIVO DI SOSTITUZIONE DI BASESCU E DI RIPOSIZIONAMENTO ENERGETICO DI BUCAREST IN EUROPA
Il referendum per le dimissioni anticipate del Presidente romeno voluto dal Premier socialista, Victor Ponta, non ottiene il quorum richiesto per la validità della consultazione. Esulta l’Unione Europea per il mantenimento della democrazia nel Paese. Gli aspetti economico-energetici della lotta ai vertici del Paese
Per sconvolgere l’assetto politico del Paese ed ottenere al più presto l’insediamento di un nuovo Capo dello Stato in Romania non sono bastati nemmeno i seggi all’estero e quelli organizzati ad hoc sulle spiagge, nei ristoranti e nei bar del litorale del Mar Nero per raccogliere il massimo numero di voti possibile. Nella giornata di Domenica, 29 Luglio, solo il 45,91% degli elettori si è recato alle urne per prendere parte al referendum riguardante le dimissioni del Presidente della Romania, Traian Basescu.
Secondo i dati della Commissione Elettorale Centrale, della bassa percentuale di votanti – per essere valida la consultazione richiedeva un quorum minimo pari al 50% degli aventi diritto – l’84% degli elettori si è comunque dichiarato a favore dell’interruzione del mandato del Capo dello Stato.
Basescu è stato accusato di abuso d’ufficio dal Primo Ministro, Victor Ponta: leader di una maggioranza parlamentare socialista-liberale che, appena insediata, ha fin da subito cercato di allontanare dalla Prima Carica del Paese un Presidente appartenente a un diverso schieramento politico.
La campagna referendaria che ha preceduto la consultazione si è caratterizzata per toni decisamente aspri. Ponta ha evidenziato il valore simbolico della consultazione, e ha presentato le dimissioni anticipate di Basescu come un atto necessario per il mantenimento del rispetto delle regole e della divisione dei poteri.
Il Presidente, dal canto suo, ha sottolineato come la manovra del Premier fosse un chiaro esempio di colpo di Stato mirante a criminalizzare la Prima Carica della Romania per via di scelte politiche.
Soddisfazione per l’esito del referendum è stata espressa dall’Unione Europea, che, a più riprese, ha ritenuto l’iniziativa della maggioranza socialista-liberale un procedimento contrario alle regole della democrazia.
In particolare, la Commissione Europea ha aperto un’indagine relativa al comportamento dell’esecutivo romeno dopo la decisione di Ponta di privare la Corte Costituzionale di alcuni suoi poteri a favore dell’esecutivo, e il vano tentativo della maggioranza socialista di eliminare l’obbligo del quorum minimo per rendere valido il referendum sulle dimissioni di Basescu.
La questione del referendum interessa questioni di carattere politico, economico, e, sopratutto, energetico. L’avvio della procedura di impeachment ha avuto luogo agli inizi di Luglio, dopo che il Premier Ponta è stato accusato di plagio e corruzione.
Per distogliere l’attenzione su di se, il Premier socialista non solo ha portato la coalizione di centrosinistra a votare l’avvio della procedura di impeachment per Basescu, ma ha anche provveduto a sostituire i Presidenti di Camera e Senato a colpi di maggioranza.
La Romania è un Paese in preda a problemi finanziari di notevole gravità. In seguito all’erogazione di un prestito di 26 Miliardi di Dollari dal Fondo Monetario Internazionale, necessario per superare la crisi economica, i Governi dell’Amministrazione Basescu sono stati costretti ad intraprendere una politica di austerità caratterizzata da decisioni fortemente impopolari, come l’incremento dell’IVA e un taglio netto delle pensioni.
Ponta, divenuto Premier dopo la caduta dei Governi Boca ed Ungureanu – di orientamento moderato, così come Basescu – si è detto contrario alle manovre finanziarie intraprese dai precedenti Esecutivi, e per non pagare l’alto prezzo politico derivante dall’austerità imposta dagli obblighi internazionali ha fatto il possibile per sollevare il Capo dello Stato dalle sue competenze prima della scadenza naturale del suo mandato.
Una questione anche di gas
Sul lato energetico, Basescu ha avviato un piano di sfruttamento intensivo dei giacimenti di gas e greggio presenti nel sottosuolo romeno e nella acque territoriali della Romania del Mar Nero per diminuire la dipendenza di Bucarest dalle forniture della Russia, che, ad oggi, soddisfano circa l’80% del fabbisogno del Paese.
Inoltre, il Presidente romeno ha sostenuto con determinazione la politica energetica comune varata dalla Commissione Europea per implementare la sicurezza energetica dell’UE.
A più riprese, egli ha inoltre sostenuto la realizzazione del Nabucco: gasdotto progettato dall’Unione Europea per trasportare direttamente nel Vecchio Continente gas di provenienza centro-asiatica, e diversificare gli approvvigionamenti energetici da quelli controllati direttamente dal monopolista russo, Gazprom.
Differente sulla questione è stato il comportamento di Ponta. Il Premier socialista ha infatti cavalcato l’onda ecologista, e ha posto un veto sia ai progetti di ricerca di nuovi giacimenti voluti da Basescu, sia all’avvio delle procedure per l’individuazione di possibili riserve di gas non-convenzionale in territorio romeno.
Inoltre, Ponta non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale sul Nabucco, né ha mai palesemente contrastato la realizzazione del gasdotto Southstream: progetto alternativo alla conduttura dalla verdiana denominazione, varato dalla Russia per impedire all’UE l’accesso diretto alle riserve di gas di Azerbajdzhan e Turkmenistan.
Letta dal punto di vista energetico, la politica di Basescu è decisamente in linea con la filosofia della Commissione Europea orientata alla diversificazione delle forniture di gas e greggio per il Vecchio Continente, e garantisce il mantenimento della sicurezza nazionale della Romania e, più in generale, di tutti i Paesi dell’UE.
Le manovre di Ponta sono invece ascrivibili ad una politica di corto raggio che accetta il ruolo della Russia come unico fornitore di gas all’Europa, e mira unicamente all’ottenimento da parte di Mosca di sconti sulle tariffe per l’acquisto di oro blu.
L’atteggiamento di Ponta, poco coraggioso e lungimirante, mette a serio repentaglio la realizzazione dei piani energetici della Commissione Europea, e rischia di lasciare il Vecchio Continente dipendente da un solo fornitore di oro blu.
Questa situazione è fortemente rischiosa, sopratutto se si considera la sempre crescente domanda di gas che, secondo le stime dei più autorevoli centri di studio, proverrà nei prossimi anni dalle economie dei Paesi UE.
Matteo Cazzulani
ELEZIONI PRESIDENZIALI BULGARE: CENTRODESTRA IN VANTAGGIO
Il Leader del partito GJERB, Rosen Plevneliv, in forte vantaggio sul socialdemocratico, Ivajlo Kalfin, ma non abbastanza per evitare il secondo turno. Il fattore turco sull’esito di consultazioni tutt’altro che scontate malgrado il divario tra i maggiori candidati
Sarà necessario il secondo turno per l’elezione del nuovo Presidente del Paese più “giovane” d’Europa. Nelle elezioni presidenziali bulgare, Rosen Plevneliev, candidato del partito di centrodestra Cittadini Per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria – GJERB – ha ottenuto il 41% dei voti, mentre il suo rivale socialdemocratico, Ivajlo Kalfin, alla guida della Coalizione per la Bulgaria, si è fermato al 26,8%.
Un risultato accolto senza euforia dal leader GJERB, sebbene gli esperti siano concordi nell’affermare con certezza la sua vittoria al secondo turno: l’esponente della sinistra non sarebbe i grado di attrarre l’elettorato moderato e di centro che, Domenica 23 Ottobre, nella maggior parte dei casi ha disertato le urne, oppure, se ha votato, ha sostenuto Romen Khrusev, quasi ultimo con un risultato minimo.
Tuttavia, a mischiare le carte potrebbe essere la minoranza turca che, numericamente consistente nel Paese, non ha partecipato al voto per il Presidente, esprimendo la propria preferenza solo nelle concomitanti Elezioni Amministrative – per la cronaca, a Sofia confermata la candidata GJERB, Jordanka Fandykova. Difatti, il Leader del Movimento per i Diritti e le Libertà – DPS – Ahmed Dogan, ha invitato i propri elettori a non sostenere Plevneliev: un’eventualità che, se si verificasse, potrebbe portare molta acqua al mulino di Kalfin, da un lato, riaprendo una contesa tutt’altro che chiusa, dall’altro facendo pesare il supporto turco, ed aprire nuovi scenari politici.
Tra gli altri volti della competizione, bene l’ex-Commissario UE, Meglena Kuneva, terza con un buon 14% ottenuto grazie al ruolo giocato a Bruxelles. Invece, fortemente bassa è l’affluenza: un fattore per cui in pochi addossano la colpa al boicottaggio della parte turca, altresì valutato come messaggio squisitamente politico di sfiducia nella classe dirigente, come, del resto, registrato anche in altri Paesi Occidentali.
Avanti in Europa
Qualora la vittoria di Plavneliv fosse confermata, alla guida della Bulgaria si avrebbe un monocolore di centrodestra, dal momento in cui sullo scranno presidenziale dal 2001 siede il socialista Georgij Pyrvanov: un cambio solo di facciata, poiché a Sofia il Capo dello Stato ha solo compiti di rappresentanza, ed i pieni poteri sono nelle mani del Primo Ministro, Bojko Borysov, autore di una politica di europeizzazione del Paese, sopratutto in ambito energetico, su cui Plavneliv ha espresso pieno accordo.
Lecito ricordare che Borysov ha rotto con la Russia a causa di contratti per l’importazione di gas sempre più onerosi per le casse statali bulgare, ed ha cercato, e trovato, nuove forniture in Turchia.
Inoltre, lo scorso martedì, 11 Ottobre, il Primo Ministro bulgaro ha co-firmato un comune appello con il suo collega romeno, Emil Boc, per accelerare l’ingresso di Sofia e Bucarest nell’Area Schengen, e rafforzare la collaborazione con il resto dei Paesi dell’Unione Europea nei settori dell’energia, del trasporto aereo, e del turismo.
Matteo Cazzulani
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