Conoscere la storia d’Europa: visita al Museo delle Vittime del Genocidio di Vilna
Ungheria, Polonia e Lituania il giorno dell’Anniversario del Patto Molotov-Ribbentrop hanno ricordato le vittime dei totalitarismi comunista e nazista. Una visita virtuale all’esposizione museale lituana.
Vilna (Lituania) – Ungheria, Polonia e Lituania: tre Paesi dell’Europa Centrale uniti nel comune ricordo delle stragi compiute dai totalitarismi del Ventesimo Secolo. Nella giornata di giovedì, 23 Agosto, e stata celebrata la Giornata Europea del Ricordo delle Vittime dei Regimi Totalitari, istituita per commemorare i milioni di morti provocati dal comunismo e dal nazismo in Europa Centrale ed Orientale durante tutto il Novecento.
La commemorazione più importante ha avuto luogo a Budapest, dove le Autorità ungheresi e polacche si sono riunite per celebrare solennemente la ricorrenza.
Come sottolineato dal Sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia polacco, Wojciech Wegrzyn, il 23 Agosto 1939, con la firma del Patto Molotov-Ribbentrop, ha avuto inizio la collaborazione tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, che ha portato alla spartizione dell’Europa Centrale tra Mosca e Berlino, e alla realizzazione nel cuore del Vecchio Continente di eccidi e violenze che non bisogna dimenticare.
“Stalin ed Hitler credevano nell’eternità del tempo e nel permanere per sempre dei loro regimi – ha dichiarato il Primo Ministro ungherese, Viktor Orban – Essi credevano che fosse possibile cancellare il ricordo del passato. Si sono sbagliati, e noi oggi non dobbiamo dimenticare quanto da essi compiuto”.
La celebrazione e avvenuta su iniziativa di Ungheria e Polonia nel Museo del Terrore di Budapest, la cui costruzione e stata fortemente voluta dal Governo Orban per dare la possibilità alle future generazioni di conoscere con i propri occhi quanto provocato in Europa Centrale dai due totalitarismi.
Il Museo si trova infatti presso la vecchia centrale operativa dei fascisti ungheresi che collaboravano coi nazisti. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’edificio – che oltre alla parte museale conserva le sale dove i dissidenti venivano torturati, detenuti, interrogati e fucilati, e divenuto la sede del Servizio di Sicurezza comunista.
Simile atmosfera di quella di Budapest la si e potuta registrare anche in Lituania. A Vilna, il Giorno del Ricordo delle Vittime dei Regimi Totalitari e stata l’occasione per issare tutte le bandiere presso gli edifici pubblici a mezz’asta, e permettere alla popolazione la visita gratuita al Museo delle Vittime dei Genocidi.
Proprio come il Museo del Terrore di Budapest, il centro museale di Vilna e situato presso la vecchia sede del KGB e dell’NKVD: le due principali emanazioni del regime sovietico responsabili, anche in Lituania, di massacri ai danni di migliaia di avversari politici.
Ad inaugurarla, il 14 Ottobre 1992, e stata un’iniziativa congiunta del Ministero lituano della Cultura e dell’Educazione e della Presidenza dell’Unione dei Prigionieri e dei Deportati Politici. Il 24 Marzo 1997, il Museo e stato riorganizzato per colerebbe del Governo della Lituania, e la sua gestione e stata affidata al Centro Ricerche sul Genocidio e sulla Resistenza lituano.
La struttura, situata presso la centrale via Gedimino, possiede tre piani, entro i quali sono dislocati più di 100 Mila reperti organizzati in un percorso espositivo ben strutturato. La prima sezione, situata sul piano terreno, raccoglie reperti legati a tre fasi della Storia della Lituania.
Si inizia con il periodo tra il il 1940 e il 1941 – quando le armate dell’Unione Sovietica con l’appoggio politico della Germania Nazista hanno occupato la Lituania ed hanno portato al progressivo annichilamento della sovranità politica e culturale dei lituani – per seguire con la Guerra Partigiana lituana tra il 1944 e il 1953 – combattuta dalla Lituania contro la dominazione sovietica, dopo tre anni di occupazione nazista, per ristabilire uno Stato indipendente – e concludere con la soppressione dell’attività bellica dei partigiani, avvenuta con l’eliminazione brutale di 20 Mila combattenti da parte delle forze armate comuniste com il sostegno militare dell’esercito russo.
La seconda sezione e dedicata alla descrizione della vita nei campi di detenzione in Lituania e nel resto dell’Unione Sovietica, dove gran parte dei partigiani lituani e stata spostata con la forza.
Proprio alle deportazioni di massa dei lituani – avvenuta tra il 1944 e il 1991 in maniera scientificamente organizzata per separare nuclei famigliari e rompere legami affettivi tra i sospettati di dissenso al regime comunista – e dedicata la seconda parte della seconda sezione, che comprende anche un’esibizione dedicata alla resistenza popolare nonviolenta all’Unione Sovietica tra il 1954 e il 1991, ed una serie di reperti inerenti all’attività del KGB a Vilna e in altre città della Lituania.
E nel piano seminterrato che si trova la parte più importante del Museo delle Vittime dei Genocidi: la Prigione del KGB. Essa e stata costruita dai sovietici nel 1940 per processare, detenere ed eliminare i dissidenti lituani. Una volta spezzata la guerra partigiana della Lituania, nel 1953, solo 23 delle 50 celle della Prigione sono state utilizzate per la detenzione e gli interrogatori dei prigionieri prima del loro invio nei Gulag in Russia, mentre il resto e stato adibito ad archivio fino all’Agosto del 1991, quando i russi sono stati costretti ad abbandonare la Lituania.
Tra le sale dell’esposizione, di particolare importanza sono i luoghi insonorizzati in cui venivano effettuate le torture, le stanze buie e umide in cui venivano rinchiusi i detenuti dopo gli interrogatori, la “sala dell’acqua” – in cui i prigionieri erano costretti a sostare su uno setto bordo per non cadere in una piscina di acqua ghiacciata – e, infine, la sala delle esecuzioni.
Quest’ultimo luogo si trova in una posizione più isolata, e mantiene l’aspetto tetro e funesto del passato. Dopo una sala in cui veniva compilato il certificato di morte del condannato, segue una stanza di poco più grande, in cui veniva eseguita l’esecuzione. A spiegare come il tutto avvenisse in maniera sistematica e ripetitiva e un filmato, proiettato su uno schermo all’interno della sezione.
Anche ebrei e sacerdoti cattolici tra le vittime dei totalitarismi comunista e nazista
Per concludere, non manca presso la prigione una stanza dedicata alle vittime ebraiche della Shoah provocate dall’occupazione nazista tra il 1941 e il 1944, ed una contenente i reperti appartenuti ai Sacerdoti cattolici impegnati con la preghiera nel sostegno della lotta partigiana: uccisi anch’essi dalla furia comunista per avere rifiutato di collaborare con il regime sovietico.
Matteo Cazzulani
Su Katyn verdetto controverso della Corte Europea dei Diritti Umani
Il Tribunale di Strasburgo ha riconosciuto il massacro del fiore dell’intellighenzia polacca per mano dei russi del 1940 come una strage di guerra, ma ha ammesso l’impossibilita di procedere nelle indagini per la mancata collaborazione di Mosca. Secondo le vittime e una dimostrazione della debolezza politica del Vecchio Continente, mentre le Autorità di Varsavia esprimono cauto ottimismo
C’è chi esprime soddisfazione e chi grida vendetta per una giustizia non resa. Nella giornata di lunedì, 16 Aprile, la Corte Europea per il Diritti Umani di Strasburgo ha ritenuto il massacro di Katyn una strage di guerra operata dai russi con il preciso scopo di eliminare l’elite militare e intellettuale polacca, ma nel contempo ha riconosciuto l’impossibilita a procedere a un giudizio definitivo per via dell’assenza di prove.
La sentenza, frutto di un ricorso presentato nel 2009 da 15 tra i famigliari delle 20 Mila vittime del genocidio del fiore dell’intellighenzia della Seconda Repubblica Polacca, operato dall’NKVD nel 1940 su preciso ordine di Stalin, ha toccato un delle pagine più nere della storia europea, nonché un punto dolente nelle relazioni polacco-russe su cui Mosca non ha fatto sufficiente chiarezza.
I russi nel 2004 hanno deciso di congelare le proprie indagini a riguardo, che sono state condotte dal 1998, mentre nel corso dell’iter processuale della Corte di Strasburgo, presieduta da quattro giudici – di nazionalità ucraina slovacca, ceca e russa – si sono rifiutati di presentare la documentazione richiesta perché sottoposta a segreto di Stato.
Un parere in chiaroscuro e stato espresso dal Ministro della Giustizia polacco, Jaroslaw Gowin, che da un lato ha illustrato come la Corte Europea per i Diritti Umani abbia riconosciuto il massacro di Katyn come una strage di guerra, ma nel contempo ha commentato la decisione di arrestare le indagini come la dimostrazione del forte peso che la Russia esercita sulla giustizia di Strasburgo.
L’amarezza della parte offesa
Parere contrario e stato espresso dal Capo della Federazione delle Vittime di Katyn, Izabella Dariusz Skopska, che ha sottolineato come la Corte Europea abbia dimostrato la debolezza delle strutture della democrazia dell’UE, ed ha dichiarato la volontà di continuare a lottare per la giustizia.
Infine, un parere favorevole, seppur cauto, e stato espresso dal Parlamentare Europeo, Pawel Zalewski, che ha illustrato come la Corte Europea per i Diritti Umani si sia fatta portatrice delle principali richieste espresse dalla Polonia, ma ha anche riconosciuto come punto di rammarico la mancata collaborazione della Russia a un’indagine che avrebbe dovuto porre fine su una pagina della storia che resta ancora aperta.
Matteo Cazzulani
UN ANNO FA LA STRAGE DI SMOLENSK. VICINANZA AL POPOLO POLACCO
Il 10 Aprile 2010 un incidente aereo ha torlo la vita all’ex-Presidente, Lech Kaczynski, a sua moglie, ed a 94 alte cariche della Repubblica della Polonia. Come esprimere vicinanza a Varsavia in Italia
96 vittime, ed un intero stato nuovamente decapitato, a 70 anni dallo sterminio di Katyn. Questo quanto successo esattamente un anno fa. Il 10 Aprile 2010, la coppia presidenziale, e le più alte cariche della Repubblica polacca, sono morte nella tragedia aerea di Smolensk.
Un terribile scherzo di una storia che, cinicamente, si è ripetuta nei confronti di Varsavia. l’Aereo, diretto al terminale russo, avrebbe dovuto consentire ai passeggeri di rendere omaggio alle vittime delle fosse di Katyn, nella vicina Bielorussia.
Dove, tra l’aprile ed il maggio 1940, le truppe sovietiche dell’NKVD hanno ucciso il fiore dell’intellighenzia polacca. 22 Mila innocenti, a cui si sono aggiunti georgiani, bielorussi, ucraini, attagli, ed ebrei. Uno dei peggiori massacri voluti da Stalin, su cui la storiografia, sopratutto quella occidentale, continua a tacere.
70 anni dopo, un incidente ha nuovamente privato la Polonia dei suoi vertici. Sulla personalità del Presidente, Lech Kaczynski, molto si è discusso. Conservatore, per i suoi critici è stato troppo estremista in politica interna. In politica estera, ha difeso le ragioni del suo Paese, non senza forti contrasti con Unione Europea e Russia.
Non sta alla Voce Arancione darne un giudizio, né commentarne l’operato. Agli storici tale compito. Bensì, riteniamo opportuno esprimere vicinanza ad un popolo, quello polacco, a noi simpatico e caro.
Un paese, la Polonia, già colpito dai fatti della storia, fin dall’epoca delle spartizioni del 18esimo secolo. E che, ancor oggi, con un nuovo Capo dello Stato, ed un nuovo orientamento in politica estera, continua a faticare a ritrovare se stesso, ed a rappacificarsi con il proprio passato.
Il ricordo in Italia. Dove e come
L’incidente di Smolensk assume un significato ben superiore rispetto alla “sola” scomparsa delle più alte cariche del Paese.
In Italia, chi volesse stringersi attorno al popolo polacco può farlo in due occasioni. A Roma, presso la Chiesa di San Stanislao, l’Ambasciata della Repubblica di Polonia ha organizzato una Santa Messa di suffragio. A Milano, alle ore 11:30, simile iniziativa presso la Chiesa di Santa Maria alla Porta.
La Voce Arancione lo fa, citando il testo della risoluzione a riguardo, presentata al Senato USA dal repubblicano Richard Lugar.
“Gli Stati Uniti esprimono omaggio alle vittime polacche della catastrofe di Smolensk. Ed apprezzano l’attaccamento alla Costituzione con cui la Polonia ha saputo superare questo difficile capitolo della sua storia”.
Matteo Cazzulani
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