LA GEORGIA CONFERMA: UE E NATO GLI OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA
Europa ed Alleanza Atlantica restano gli obiettivi della Strategia di Sicurezza Nazionale approvata dal Parlamento georgiano, seguiti dal rafforzamento di partnership bilaterali di primaria importanza per la politica energetica di Bruxelles. La Russia imperiale ritenuta ancora una minaccia per l’indipendenza di Tbilisi. Il perché Mosca è un pericolo comune sia per il Paese caucasico che per il Vecchio Continente
La Russia è ancora un pericolo e l’unica garanzia per la sicurezza nazionale resta l’Occidente, malgrado tutto. E tanto chiara quanto realistica la filosofia della Strategia di Sicurezza Nazionale della Georgia, approvata a stragrande maggioranza – 111 favorevoli, solo 3 contrari – dal Parlamento di Tbilisi lo scorso 23 Dicembre.
Per gli europei, l’importanza del documento sta tutta nel principale vettore di politica estera, che le Autorità georgiane hanno ribadito essere l’integrazione nell’Unione Europea e nella NATO. In seguito, Tbilisi intende rafforzare i rapporti bilaterali con Paesi anche UE, come Lituania, Lettonia, Estonia, Ucraina, e Turchia.
Per quanto riguarda l’Azerbajdzhan, è stata preventivata una maggiore collaborazione sul piano energetico: aspetto di primaria importanza per il Vecchio Continente, dal momento in cui le buone relazioni tra Georgia e Baku – ed anche con la Turchia – sono fondamentali per assicurare l’esportazione di gas centro asiatico direttamente nell’UE, evitando il transito – ed il conseguente ricatto politico-energetico – della Russia.
Proprio a Mosca è stata dedicata gran parte del documento. Tbilisi ritiene la Federazione Russa uno Stato dalle rinate velleità imperiali, pronto a riaprire il fronte caucasico con un possibile nuovo conflitto armato. Come riporta il testo, la strategia dei russi si basa sull’impedimento di ogni forma di integrazione della Georgia con l’Occidente, sull’inserimento nelle questioni interne del Paese vicino con il preciso scopo di destabilizzarlo e mutarne la politica estera, e sul il riconoscimento della piena indipendenza di Abkhazija ed Ossezia del Sud.
Queste due regioni sono state strappate in seguito all’aggressione militare dell’Agosto 2008, quando i russi hanno infranto l’integrità territoriale georgiana con i propri carri armati, senza che l’Occidente osasse protestare. Tutt’oggi, le armate di Mosca sono ancora presenti sui territori occupati: in piena violazione degli accordi di pace negoziati con la mediazione dell’allora Presidente di turno UE, Nicolas Sarkozy.
La Georgia è un Paese di cultura cristiana ed europea, che dalla Rivoluzione delle Rose del 2003 – la rivolta pacifica che ha detronizzato l’autocrate post-sovietico, Eduard Shevernadze, facendo di Tbilisi una democrazia – coerentemente dichiara di volere a tutti i costi l’integrazione con UE e NATO, persino nei piccoli particolari: dietro la scrivania presidenziale è issata la bandiera europea, spesso appuntata sulla giacca del Capo di Stato, Mikheil Saakashvili.
Più in grande, esempio recente della buona volontà di Tbilisi è il via libera concesso all’ingresso dei russi nel WTO: decisione sofferta, accettata sopratutto in seguito alle richieste espresse da Europa e Stati Uniti.
L’impero è ancora una minaccia
Amara la risposta di Bruxelles e Washington che, intimorite da Mosca, hanno sempre chiuso la porta in faccia a Tbilisi, rinviando ad oltranza un’integrazione che, per gli interessi dell’Occidente, sarebbe stata dovuta essere conclusa seduta stante. Eppure, non si dovrebbe dubitare sulla comunanza di problematiche che lega Tbilisi a Bruxelles.
Una Russia imperiale, che il certo prossimo Presidente, Vladimir Putin, ha promesso di riportare al rango di superpotenza mondiale, mira non solo ad eliminare i fastidiosi vicini caucasici, ma anche a spazzare dalla concorrenza globale un Vecchio Continente sempre più in crisi in economia, politica, e valori.
Sembrerà paradossale al lettore medio Mediterraneo, ma le sorti dell’Europa, come dimostrato dalla Strategia per la Sicurezza Nazionale Georgiana, passano non solo da Francoforte e dall’asse Parigi-Berlino, ma anche da Caucaso ed Europa Orientale: terre culturalmente a noi sorelle, che troppo di frequente – spesso in malafede – tendiamo ad ignorare.
Matteo Cazzulani
TRA UNIONE EUROPEA E RUSSIA CONTINUA LA GUERRA DELLA VERDURA
Dopo quello russo, anche l’Ucraina pone l’embargo sui prodotti ortofrutticoli UE, e rischia di frenare la creazione della Zona di Libero Scambio con Bruxelles. Esperti polacchi illustrano il ruolo della Russia, intenzionata all’ingresso nel WTO per mezzo dell’arma commerciale-energetica. La Lituania esclude Gazprom dal proprio mercato interno, la Germania consolida la partnership
Non solo con il gas, la nuova guerra fredda si combatte anche a insalate, patate, e pomodori. Nella giornata di giovedì, 14 Luglio, l’Unione Europea ha subito un nuovo embargo all’esportazione di verdura, questa volta da parte dell’Ucraina. Una misura necessaria, come ha assicurato Kyiv, per combattere la recente epidemia nel Vecchio Continente, a cui, all’inizio di Luglio, ha reagito anche la Russia con una simile misura, cancellata, però, pochi giorni or sono.
“Una mossa irrazionale, a cui la Commissione Europea deve rispondere” l’ha invece definita Jaroslaw Wojtowycz, vice-ministro dell’agricoltura di una Polonia che sta pagando un conto altissimo a causa del secondo embargo, inspiegabile per un Paese impegnato nelle trattative per la creazione della Zona di Libero Scambio con l’UE.
A darne una convincente interpretazione è, invece, l’esperta dell’autorevole centro studi OSW, Marta Jaroszewicz, che ha evidenziato come dietro l’embargo vi sia proprio una Russia decisa a lanciare un forte messaggio politico all’Unione Europea, servendosi, in chiave economica, di un’Ucraina a lei fortemente dipendente, sopratutto nel settore agroalimentare. Secondo l’esperta, lo scopo di Mosca sarebbe da un lato il contrasto all’avvicinamento di Kyiv a Bruxelles, e, dall’altro, l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio – da cui la Russia, a differenza dell’Ucraina, è ancora esclusa.
La Lituania con la Polonia, i tedeschi con Gazprom
Dunque, quella una precisa tattica basata sul ricatto economico-energetico, che nel resto dell’Unione Europea, ha incontrato altri oppositori oltre alla Polonia, ma anche solidi alleati. Ne è recente esempio quello della Lituania, dove, proprio mercoledì, 13 Luglio, la Presidente Dalja Gribauskajte ha firmato la legge sul gas, con cui il monopolista russo, Gazprom, è obbligato a cedere parte delle quote di gestione del sistema infrastrutturale energetico lituano, finora controllato in regime di monopolio.
Come dichiarato da diversi politici, Vilna non solo intende rispettare il Terzo Pacchetto Energetico UE – che garantisce la liberalizzazione dei gasdotti del Vecchio Continente – ma anche diversificare le forniture, ed evitare di sottostare al ricatto energetico del Cremlino che, dinnanzi ai tentativi lituani di limitazione dello strapotere di Gazprom nel proprio mercato, ha concesso sensibili sconti sul gas solo agli altri due Paesi baltici, Estonia e Lettonia: de facto, isolando la Lituania.
Chi, invece, non viene affatto isolato, ma, altresì corteggiato, sono le compagnie tedesche. Nella giornata di giovedì, 14 Luglio, Gazprom ha firmato un contratto con la tedesca RWE per la comune ricerca di nuove fonti di energia nel Vecchio Continente, sopratutto nel settore di gas, carbone, ed elettricità. Inoltre, l’accordo concede ai teutonici – leader nel settore – l’esclusiva sulla gestione di commesse russe in Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, e Lussemburgo.
Matteo Cazzulani
L’Unione Doganale russo-bielorusso-kazaka si prepara all’allargamento in Europa
La CEE euroasiatica decide sull’adesione dell’Ucraina secondo una formula separata. Kyiv sempre più vicina alla Russia
L’Ucraina sempre più vicina all’Unione Doganale Euroasiatica. Nella giornata di Domenica, 10 Luglio, e stata comunicata l’intenzione da parte di Russia, Bielorussia, e Kazakhstan di esaminare la richiesta di adesione dell’Ucraina nella CEE postsovietica secondo la formula 3+1.
Come evidenziato dall’Incaricato di Kyiv per le relazioni con i paesi della CSI, Valerij Muntijan, la parte ucraina ha esposto già richiesta formale di ingresso, secondo una formula che ne prevede un coinvolgimento parziale.
In favore delle possibilità di riuscita dell’allargamento dell’Unione Doganale giocano importanti fattori, quali la volontà di integrazione dell’Ucraina da parte della vicina bielorussia, ed il progetto russo di inglobare nell’Unione Doganale il numero più alto possibile di ex-Repubbliche URSS.
Lecito ricordare che l’Unione Doganale e la risposta di Mosca all’Unione Europea, per lo meno in ambito economico e commerciale, che ha eliminato le tariffe di dogana tra Russia, Bielorussia, e Kazakhstan.
Una scelta tra Occidente ed Oriente
L’Uzbekistan si e dichiarato interessato, mentre il Kyrgystan sta affrontando l’iter istituzionale per l’ingresso nella riedizione dell’Urss.
Inoltre, lo scorso 28 Giugno, il Presidente ucraino, Viktor Janukovych, ha dichiarato la volontà di adesione secondo una formula separata, che rispetti la politica di neutralità imposta alla sua amministrazione, ed interferisca il meno possibile con i progetti di integrazione con l’Occidente.
Ciò nonostante, la creazione della già programmata Zona di Libero Mercato UE-Ucraina, la firma dell’Accordo di Associazione con Bruxelles, e la presenza di Kyiv nell’Organizzazione Mondiale del Commercio – a cui non fa parte nessuno dei Paesi della simile Unione Dogale – rende difficile la svolta euroasiatica di un Paese che, europeo per cultura, storia, e tradizioni, e chiamato ad una scelta radicale tra il ritorno sotto Mosca, o la collaborazione con l’Europa.
Matteo Cazzulani
UCRAINA: LA BANDIERA ROSSA FA ANCORA DISCUTERE
Altri contrari al simbolo URSS accanto a quello nazionale il Giorno della Vittoria. Sia tra le fila della maggioranza, che dell’Opposizione Democratica. Ad Ivano-Frankivs’k dimostrazione colorita
Tutti la votano ma nessuno la vuole. Diverse sono le voci che venerdì, 22 Aprile, si son alzate contro l’ordine di issare la bandiera rossa accanto a quella nazionale in tutti gli edifici pubblici, il Prossimo 9 Maggio.
A sorpresa, contrario si è dichiarato il Ministro degli Esteri, Kostjantyn Hryshchenko, che ha escluso l’esposizione del vessillo URSS presso le ambasciate ucraine, sia il giorno in cui si commemora la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, sia in altre occasioni.
Critiche anche da parte dell’ex-Speaker del Parlamento, Arsenij Jacenjuk, che ha accusato la maggioranza di condotta antipatriottica. Secondo il Deputato Nazionale di Nasha Ukrajina-Narodna Samooborona, l’esposizione del vessillo sovietico è strettamente collegata al progetto di partnership dell’Ucraina nell’Unione Doganale russo-bielorusso-kazaka. Una scelta di campo che comporterebbe l’esclusione di Kyiv dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, e la rinuncia ad ogni forma di membership con l’Unione Europea.
Sulla medesima frequenza il principale gruppo dell’Opposizione Democratica, il Blocco Tymoshenko-Bat’kivshchyna. Il quale, con una nota, ha illustrato la pericolosità di un provvedimento che non rispetta chi, in nome di un’Ucraina Indipendente, dopo avere combattuto i nazisti, è stato ucciso dai comunisti.
Un Consiglio Regionale particolare
Proprio il capogruppo di Bat’kivshchyna al Consiglio Regionale di Ivano-Frankivs’k, Jurij Romanjuk, ha proposto la convocazione di una sessione straordinaria proprio per il 9 Maggio. Da tenersi, in via dimostrativa, sul tetto dell’edificio. E con la partecipazione delle forze politiche patriottiche non rappresentate nell’organismo locale.
Deciso a non rispettare l’ordine anche il Consiglio Comunale di Leopoli. Viceversa, a favore della bandiera rossa il Giorno della Vittoria, si sono espresse le città di Odessa e Zhytomir.
Giovedì, 21 Aprile, la Rada ha approvato l’obbligo di esposizione del vessillo del 150esimo battaglione Kutuzov II accanto a quello nazionale. Favorevoli alla proposta, presentata dal comunista Petro Cybenko, la maggioranza compatta, la Kompartija, la Narodna Partija, ed il Partija Rehioniv – la forza politica, egemone nel Paese, a cui appartengono il Presidente, Viktor Janukovych, il Premier, Mykola Azarov, e quasi tutti i membri del Consiglio dei Ministri.
Matteo Cazzulani
UCRAINA: JULIJA TYMOSHENKO SPIEGA I VANTAGGI DELLA ZONA DI LIBERO SCAMBIO CON L’UE
La Leader dell’Opposizione Democratica ucraina favorevole un avvicinamento all’Unione Europea per garantire lo sviluppo e l’Indipendenza di Kyiv. Mosca preme sul gas
Lo sviluppo ed il futuro da una parte. Dall’altra, gas e pragmatismo. Queste le due prospettive che ben sintetizzano la situazione politica attuale a Kyiv. A rappresentarle, due posizioni, emerse sabato, 16 Aprile.
In favore della Zona di Libero Mercato con Bruxelles la Leader dell’Opposizione Democratica, Julija Tymoshenko. La quale, in una nota, riportata dall’autorevole UNIAN, ha definito l’Unione Doganale russo-bielorusso-kazaka come la perdita degli interessi nazionali, dell’autonomia economica del Paese, ed avvio della sottomissione politica al Cremlino.
Infatti, è la Russia il vero soggetto egemone di una sorta di CEE euroasiatica. In cui, oltre a mancare un organismo decisionale aperto, Mosca conta per il 57%, Astana per il 21,5%, e Minsk per il 21,5%.
Molti, invece, i pro della Zona di Libero Scambio con l’Unione Europea. In primis, la maggiore collegialità, e la possibilità di ricorrere all’Arbitrato Internazionale, su decisioni che penalizzano un determinato Paese.
In aggiunta, l’ingresso nel progetto russo comporterebbe l’isolamento internazionale, con l’espulsione dell’Ucraina dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Uno dei maggiori risultati dei governi arancioni. Molti dei quali, guidati da Julija Tymoshenko.
Inoltre, con Bruxelles è possibile negoziare clausole ad hoc per rispettare le caratteristiche del mercato interno ucraino. E non, come invece preventivato nell’Unione Doganale russo-bielorusso-kazaka, l’imposizione a diversi Stati di un unico modello centralizzato, disattento delle specificità locali.
Dunque, una Zona di Libero Mercato con l’UE che non minaccia affatto l’Ucraina. Concorde con l’anima della Rivoluzione Arancione, il Ministro degli Esteri, Kostjantyn Hryshchenko, che diverse volte ha individuato nell’UE una priorità.
A non vederla alla stessa maniera, il Presidente, Viktor Janukovych, favorevole ad un’Integrazione federata nell’Unione Doganale Euroasiatica. Una clausola 3+1. La quale, secondo i suoi piani, consentirebbe a Kyiv di associarsi a Mosca, senza chiudere con Bruxelles. Tuttavia, l’incompatibilità tra i due progetti è stata evidenziata sia dall’Unione Europea, che dalla Federazione Russa.
L’oro blu di Mosca
Ed è proprio dal Ministro dello Sviluppo Economico della Russia, Andrej Klepach, che è arrivata la risposta alle tesi della Leader dell’Opposizione Democratica ucraina. Il politico ha garantito prezzi inferiori per il gas, qualora Kyiv dovesse optare per l’Unione Doganale di Mosca.
Sempre secondo Klepach, nella CEE euroasiatica vige un particolare sistema di tariffe, che, scindendo il costo dell’oro blu importato da quello per il trasporto, garantirebbe ai partner di Mosca una bolletta meno cara di quella odierna.
Lecito ricordare che promesse di sconto sul gas già sono state esternate. Invano. Non ultima, quella legata agli Accordi di Kharkiv. Con cui, lo scorso anno, Janukovych ha concesso il prolungamento della permanenza della Flotta Russa del Mar Nero in territorio ucraino, fino al 2042. In cambio della promessa di un decremento del 30% del gas, mai realizzato.
Al contrario, lo scorso Primo di Agosto, la tariffa per l’oro blu alla popolazione è aumentata repentinamente del 50%.
Matteo Cazzulani
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